Le parole del segretario della Lega Nord, Roberto Maroni, pronunciate lo scorso primo settembre, alla fiera di Martignacco (Ud), erano state più che chiare in merito ai provvedimenti da prendere con gli esponenti friulani delle camicie verdi coinvolti nello ‘scandalo rimborsi: “In Friuli vengo a dire una cosa molto semplice: la Lega ha un grande passato e deve avere un grande futuro. Il futuro si basa su solidi e semplici principi, il primo dei quali è quello dell’onestà dei comportamenti (…) Quindi se c’è bisogno di fare pulizia si farà pulizia” aveva promesso leader del Carroccio. D’altronde la decisione del commissario della Lega per il Friuli Venezia Giulia, Gianpaolo Dozzo – inviato a giugno dallo stesso Maroni per sostituire l’“inadeguato” segretario Matteo Piasente – era già andata in questa direzione.

Dopo l’ex capogruppo leghista in Consiglio regionale, Danilo Narduzzi, accusato non solo di aver fatto un “uso disinvolto” dei fondi del gruppo ma anche di avere distrutto scontrini e fatture relativi agli acquisti dubbi, Dozzo aveva infatti sospeso dal partito (proprio qualche giorno prima della visita di Maroni) anche l’attuale capogruppo della Lega a Palazzo Oberdan e nel Consiglio comunale di Pordenone, Mara Piccin. Pure lei coinvolta nell’inchiesta delle spese pazze, effettuate da tre quarti dei vecchi consiglieri regionali del Friuli (tra cui anche l’attuale presidente del Consiglio), aperta lo scorso febbraio dalla Procura di Trieste. A finire nel mirino del pm Federico Frezza era stata la consulenza affidata dalla Piccin al suo compagno, un pilota di elicotteri. Costo: 5mila euro, pagati naturalmente con i fondi del gruppo. Ci sono poi ben cinque soggiorni, in cinque alberghi differenti, trascorsi con il compagno e, manco a dirlo, rimborsati dal gruppo.

Ma se per il commissario della Lega in Friuli alla sospensione dal partito ne consegue l’abbandono della carica di capogruppo, nonché del gruppo consiliare stesso – con il passaggio nel Misto –, per la diretta interessata le cose non stanno affatto così. Nulla da eccepire sulla sua sospensione dal partito, ma “non è previsto dal regolamento e dallo statuto che il Consiglio nazionale della Lega del Friuli (ndr, gran consiglio regionale) decida che un consigliere, che è una carica elettiva, debba lasciare il gruppo”, fa sapere Mara Piccin, bollando come “illegittima” la decisione del commissario Dozzo. A cedere insomma non ci pensa proprio. “Resto al mio posto”, a Trieste (sede del Consiglio regionale del Friuli), come a Pordenone. E quasi a volere corroborare la sua posizione, Piccin continua ancora a parlare, a firmarsi e ad intervenire come capogruppo a tutti gli effetti.

“La signora lo fa a titolo personale, non rappresentando la linea del partito” la rimbecca a distanza il commissario della Lega del Friuli. Insomma una contraddizione non di poco conto perché, pur rappresentando, in qualità di capogruppo (a Trieste e Pordenone), la Lega Nord, le parole di Mara Piccin non possono essere intese come espressione del Carroccio. A questo punto solo il gruppo, o meglio, i gruppi potranno decidere. A Pordenone il sostituto ci sarebbe già. Il problema però si pone in Consiglio regionale: l’eventuale passaggio al gruppo Misto di Mara Piccin determinerebbe la scomparsa del gruppo della Lega dal Consiglio regionale. Già perché essendo in tutto tre gli eletti della Lega a Palazzo Oberdan, alle regionali dello scorso aprile, senza di lei nel gruppo rimarrebbero in due consiglieri. Troppo pochi. Secondo il regolamento infatti ogni gruppo deve essere composto da almeno tre consiglieri. Nel Misto la Piccin sarebbe perciò seguita a ruota dagli altri due consiglieri. E di conseguenza dopo vent’anni di gloria, con ben tre governatori, il sole delle Alpi e Alberto da Giussano sparirebbero dalla Regione Friuli.

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