Si complica la situazione dell’Argentina, mentre l’epopea giudiziaria americana aggiunge un nuovo capitolo all’ormai infinita saga dei Tango Bond. Con una decisione annunciata nei giorni scorsi il tribunale di Manhattan ha dichiarato illegale l’ultimo tentativo di Buenos Aires di aggirare, almeno in parte, la pesantissima sentenza pronunciata dalla stessa corte distrettuale che impone al governo di Cristina Kirchner di rimborsare senza sconti i creditori “dissidenti”, ovvero i detentori dei titoli sovrani argentini che non hanno aderito al programma di ristrutturazione debitoria condotto, in due fasi distinte, tra il 2005 e il 2010. Il pronunciamento del tribunale segna dunque l’ennesima vittoria dei fondi speculativi che nel corso degli anni hanno rastrellato sul mercato quel che restava dei famigerati bond con l’obiettivo di ottenere il pieno riconoscimento del credito nelle aule di tribunale.

L’origine del problema risale ovviamente al lontano 2002 quando Buenos Aires ha dichiarato default sul proprio debito sovrano, un fardello da quasi 100 miliardi di dollari. La dichiarazione di bancarotta è stata seguita dall’inevitabile processo di ristrutturazione condotto attraverso il cosiddetto concambio. L’Argentina, in altre parole, ha offerto ai creditori la sostituzione delle obbligazioni in default non nuovi titoli a rendimenti inferiori e a scadenza differita imponendo di fatto una perdita del 70% sul valore nominale iniziale. Chi si fosse rifiutato si sarebbe trovato di fatto a perdere l’intera somma investita. Dopo otto anni di trattative e due accordi distinti, Buenos Aires ha completato il programma di ristrutturazione incassando il consenso del 93% dei creditori. Il restante 7% ha perseguito al contrario la strada dei tribunali.

Tra i grandi dissidenti del piano argentino c’è il fondo speculativo Nml, di proprietà della Elliot Capital Management, una società finanziaria delle Isole Cayman. Seguendo lo schema dei cosiddetti “fondi avvoltoi” (vulture funds, l’epiteto con cui vengono abitualmente definititi i cosiddetti fondi distressed), Nml aveva acquistato sul mercato un enorme ammontare di titoli in default a prezzo di saldo dai creditori originari appellandosi quindi alla giustizia Usa per ottenere il pagamento dell’intero controvalore nominale sommato agli interessi e alle penali. In totale, l’Argentina deve circa 1,5 miliardi di dollari. Nel novembre del 2012, il giudice Thomas Griesa della Corte distrettuale di Manhattan ha dato ragione a Nml. La sentenza Griesa ha quindi messo alle strette l’Argentina ordinando al governo di effettuare il rimborso prima ancora di versare un solo centesimo ai creditori che hanno accettato il comcambio.

Questi ultimi, come detto, possiedono nuovi titoli “ristrutturati” sui quali incassano periodicamente i pagamenti di Buenos Aires, un’operazione gestita dalla banca statunitense New York Mellon. Tale operazione è stata congelata proprio dal tribunale newyorchese e potrà essere sbloccata solo dopo il completamento del pagamento a favore di Nml. Nell’agosto scorso, il presidente argentino Cristina Kirchner aveva annunciato una proposta di swap dei titoli ristrutturati per bypassare il blocco imposto dalla sentenza.

I creditori del concambio, in altre parole, avrebbero sostituito i loro titoli ristrutturati e attualmente regolamentati dalla legge statunitense con nuovi bond equivalenti nel valore ma soggetti alla sola legge argentina e dunque “immuni” dal blocco. La corte distrettuale di Manhattan, come detto, ha bocciato ieri anche quest’ultima operazione. L’ultima vera speranza dell’Argentina consiste nel ricorso presso la Corte Suprema degli Stati Uniti. Buenos Aires ha presentato richiesta formale ma la possibilità di ottenere udienza non è affatto scontata. Il massimo tribunale americano, per il momento, non si è espresso a riguardo e il timore è che le ragioni di Kirchner e soci possano non trovare mai ascolto.

A pesare negativamente sulle speranze argentine c’è inoltre il sostanziale isolamento patito dopo la decisione del Fondo monetario internazionale di non farsi coinvolgere nel ricorso presentato alla stessa Corte Suprema, una decisione che aggrava i timori di una triste conclusione della vicenda per un Paese già chiamato ad affrontare persistenti problemi di deficit e inflazione. Nell’ultima rilevazione della società di analisi Cma Vision, il prezzo dei Cds (i derivati che assicurano i creditori dal rischio bancarotta del debitore) sui bond argentini ha superato quota 2300 punti base (occorrono 2,3 milioni di dollari per assicurare un credito da 10 milioni). Il che, secondo la stessa Cma, implicherebbe per Buenos Aires una probabilità teorica di default prossima all’80 per cento.

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