A proposito dell’Iran e del suo programma nucleare per l’Usa tutte le opzioni restano sul tavolo, compresa quella militare. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, parlando nel corso dell’incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu nell’ufficio ovale della Casa Bianca. Il colloquio avviene a pochi giorni dalla storica telefonata – la prima in quarant’anni – tra Obama e il neoeletto presidente iraniano Hassan Rohani.  La telefonata Obama-Rohani, durata 15 minuti, è un segnale di apertura da entrambe le parti, ma ha irritato Israele, storico alleato degli Usa e avversario di Teheran. Lo Stato ebraico definisce il programma nucleare di Teheran inaccettabile e una minaccia per l’intera regione, sostenendo che non bisogna farsi ingannare dai segnali di apertura iraniani.

Così Obama ha incontrato Netanyahu per rassicurarlo sul nucleare iraniano. Il presidente americano ha affermato che intende rimanere costantemente in contatto con Israele per quanto riguarda i negoziati con l’Iran e ha ribadito che non esclude un eventuale intervento militare per evitare che Teheran si doti di armi nucleari. Obama ha aggiunto che le parole non sono sufficienti perché Teheran risolva le preoccupazioni sul suo programma nucleare. L’Iran sembra pronto a negoziare, ma la diplomazia va testata, ha ribadito il presidente Usa. 

Ma Netanyahu non è stato convinto dalle rassicurazioni di Obama. “L’obiettivo dell’Iran è la distruzione di Israele”, ha tuonato il presidente israeliano. In merito il capo del governo dello Stato ebraico aveva precedentemente avanzato quattro richieste: che cessi in Iran l’arricchimento dell’uranio; che il materiale già arricchito sia rimosso dall’Iran e che cessino le attività negli impianti di Fordo e di Araq. Le trattative con l’Iran dovrebbero inoltre avere una scadenza precisa, per impedire a Teheran di prodursi in “tattiche dilatorie”.

Gli Usa potrebbero riconoscere il diritto dell’Iran a dotarsi di risorse di energia atomica se Teheran accettasse “controlli esterni e trasparenza”, sostiene ex capo dell’intelligence militare Amos Yadlin, attualmente presidente del Centro di studi strategici Inss dell’Università di Tel Aviv. Per Israele, avverte, questa opzione sarebbe però una cattive notizia: il congelamento della situazione attuale – con 10 mila centrifughe attive di vecchio modello a cui si sono aggiunte migliaia di centrifughe più moderne, assieme con le attività degli impianti di Fordo – consentirebbe in teoria all’Iran di rompere unilateralmente in futuro le intese con l’Occidente e di “lanciarsi” verso la produzione dei primi ordigni nucleari.

Malgrado le legittime preoccupazioni, secondo Yadlin, Israele non deve apparire come chi intralci la distensione internazionale e deve assecondare il dialogo, cercando tuttavia di mettere puntelli. Anche se Israele ha la netta sensazione di essere stato spiazzato dalla recente apertura degli Stati Uniti verso l’Iran, il premier Benyamin Netanyahu sbaglierebbe se cercasse adesso di ostacolare le mosse del presidente Barack Obama. Meglio farebbe invece a sostenere l’apertura di un dialogo Usa-Iran, sia pure con occhio vigile e critico, sostiene Yadlin.

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