Con tempismo sospetto, Silvio Berlusconi ha fatto crollare il castello di carte di Letta ‘l’Americano’: il premier aveva appena finito di suonare la campanella dell’avvio di seduta alla borsa di Wall Street e di raccontare, agli investitori americani e dal podio dell’Onu, un’Italia “stabile” e destinata a crescere per i prossimi 12 mesi che ha dovuto precipitarsi a Roma per rimettere insieme i cocci della coalizione e cercare di salvare capra e cavoli, cioè il posto e il governo.

Della sortita americana, già segnata dalle ‘bombe a frammentazione’ di Telecom e Alitalia, a Letta resta solo il ‘satisfecit’ di Marchionne, dopo una cena a quattro –c’erano pure l’ambasciatore d’Italia a Washington Claudio Bisogniero e la ad di Ibm Ginni Rometty-, a le Cirque, un ristorante di Manhattan dietro Saint Patrick che piace tanto agli italiani che contano nella Grande Mela. “E’ una persona forte –dice Mr Fiat del premier-, spero che continui”.

Il ritorno a casa di Letta con un diavolo per capello –ma l’espressione gli s’addice poco- suscita ironie e giochi di parole sulla stampa internazionale. Un attimo dopo aver assicurato agli investitori di Wall Street che l’Italia è “giovane, virtuosa e credibile”, commenta il Financial Times con britannico sarcasmo, il premier deve correre a Roma, dove i pretoriani di Mr B, che resta “il maestro burattinaio” di quest’Italia –la definizione è di The Economist-, minacciano dimissioni di massa dal Parlamento se la Giunta del Senato votasse la decadenza del Cavaliere.

Nonostante la pesantissima concorrenza nella settimana dell’Assemblea generale delle Nazioni unite, Letta, a New York, aveva ottenuto qualche attenzione. Il WSJ gli ha pure fatto una robusta intervista, dandogli spazio sul concetto che l’Europa deve spostare l’enfasi dalla crisi alla crescita. Ma il colpo di mano di Mr B. trasforma la missione in boomerang, anche se, ironia a parte, le critiche per il brusco passaggio dalla calma di vento apparente alla burrasca vanno tutte a Berlusconi e ai suoi.

Ora, tutti s’interrogano, a cominciare dal WSJ, oltre che da Napolitano e Letta, se quella del Cavaliere sia una resa dei conti o un bluff, per tenere gli alleati di governo che sono avversari in politica  sulle spine e, magari, sottrarre a Letta un po’ delle luci della ribalta internazionale.

I media stranieri registrano le contraddizioni di Mr B. e del Pdl e s’indignano –Der Spiegel-perché fa perdere all’Italia credibilità e non solo, con la borsa che scivola e lo spread che sale. Ma Les Echos gli trova dei meriti, in ottica francese e socialista: “Berlusconi è il miglior alleato di Hollande”, scrive il quotidiano economico, perché –spiega- “i mercati preferiscono le riformette di Hollande all’immobilismo italiano”.

Con altre parole, esprime lo stesso concetto a Bruxelles un portavoce di Olli Rehn: Francia e Italia, entrambi sforano il tetto del 3% nel rapporto deficit /Pil, Parigi d’un botto (va oltre il 4%), Roma d’un soffio, ma Rehn benedice i francesi e i bacchetta gli Italiani. Ma com’è?, chiedono i giornalisti. “Le regole sono le stesse –risponde serafico il portavoce-, ma i Paesi sono diversi”. E dire che Hollande, a New York, non è neppure andato a suonare la campanella di Wall Street.

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