“Sulla mafia abbiamo chiuso gli occhi per troppo tempo, non è accettabile che al nord si continui a non vedere”. Enrico Bini, il presidente della Camera di commercio di Reggio Emilia diventata negli ultimi anni un simbolo della lotta alla criminalità organizzata, racconta del suo incontro con la mafia del nord e anche delle sue battaglie che probabilmente gli costeranno la conferma del mandato il prossimo dicembre.

“Ho fatto denunce che sono cadute nel vuoto, la Procura aveva i documenti che sono rimasti in un cassetto, per anni non si è fatto nulla” ha spiegato Bini, ospite dell’iniziativa intitolata con la frase di Peppino Impastato “La mafia è una montagna di merda” che terminerà il 28 settembre con la proiezione del documentario “La voce di Impastato” di Ivan Vadori. Due giorni contro la mafia organizzati dall’associazione culturale Amici della Vecchia Talpa a Fidenza, a pochi chilometri da Parma, proprio dove il prefetto Paolo Scarpis nel 2009 disse che le infiltrazioni dei casalesi nel parmense erano solo “una sparata” dello scrittore Roberto Saviano. E dove invece, come ha ricordato Marco Gallicani, “la cultura mafiosa c’è, come in tutto il nord Italia, solo che non abbiamo gli anticorpi e non ne conosciamo nemmeno l’alfabeto base”.

A confrontarsi con Bini sul fenomeno della criminalità organizzata, Mario Portanova, giornalista de ilfattoquotidiano.it ed esperto di mafie del nord, e Alessia Frangipane di Libera Parma, che hanno descritto un quadro nitido sulla mafia al nord, quella che non si vede ma che è radicata nel territorio, che tiene sotto scacco le comunità di province storicamente ricche, arrivando perfino alla politica e dentro le istituzioni. “Non è un problema di infiltrazione, ma di radicamento – ha spiegato Portanova – Ci sono presenze decennali in territori in cui per ignoranza si dava per scontato che la cultura mafiosa non avrebbe mai attecchito, come l’Emilia o la Lombardia. E invece in questi anni le organizzazioni hanno intessuto rapporti con le piccole comunità locali, che permettono di mimetizzarsi, ma anche di avere un maggiore controllo”.

Le indagini sulle grandi opere come la stazione Mediopadana di Reggio Emilia e sulle aziende in odore di mafia, i beni confiscati nei Comuni periferici dell’Emilia Romagna, i proiettili inviati come avvertimento ai sindaci di provincia e gli appalti al ribasso che affossano l’imprenditoria locale. E ancora i dati sul pizzo e sull’usura, che nella sola Emilia Romagna contano migliaia di vittime. Sono solo i segnali più tangibili di un sistema che si fonda sul tessuto sociale e che anche al nord, come al sud, sopravvive grazie all’omertà della gente. “Al sud è più facile combattere la mafia perché sai da che parte stare – ha aggiunto Frangipane – Qui invece, se non stai attento, la mafia non la vedi nemmeno. È per questo che è importante che la comunità vigili, perché la cultura mafiosa non c’è solo al sud”.

È il “cono d’ombra” descritto da Nando Dalla Chiesa, che ha consentito alla criminalità organizzata di farsi strada quasi in silenzio, riuscendo a scalare posizioni a livello locale, a volte con il benestare degli amministratori che trovano convenienza negli appalti e nei servizi al ribasso. “Ma le gare al massimo ribasso sono illegali – continua Frangipane – le vince la mafia e il Comune ci perde in termini di correttezza e sicurezza”. Lo sa bene il presidente Bini, che in questi anni ha cercato di allontanare dal mondo dell’imprenditoria le organizzazioni criminali con protocolli e iniziative in Camera di commercio, anche se ammette che il lavoro da fare è ancora tanto: “La mafia non è di destra o di sinistra, si adatta a ogni territorio, e i certificati antimafia per le aziende non servono a nulla, perché non riescono a svelare nel profondo la loro natura – conclude – Sono le persone che devono essere più responsabili e cominciare a boicottare in prima persona la mafia”.

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