La cautela del premier, l’ira di Grillo. L’affaire Telecom, con la vendita di Telco alla spagnola Telefonica, agita le acque della politica e non solo. “Guardiamo, valutiamo, vigileremo sul fronte occupazionale, ma bisogna ricordare che Telecom è una società privata e siamo in un mercato europeo – sottolinea Enrico Letta che riferirà alla Camera martedì 1° ottobre – Tuttavia vorrei ricordare a tutti quelli che stanno parlando in queste ore che Telecom è stata privatizzata, e che di tutte le privatizzazioni italiane non credo sia stata uno dei più grandi successi. Quindi anche se arrivassero dei capitali europei credo potrebbe aiutare Telecom a essere migliore rispetto agli ultimi 5 anni”.

Blog Grillo: “Disastro annunciato, usare i soldi destinati al Tav”. Ma per impedire l’avanzata spagnola il leader del Movimento 5 Stelle ha una sua proposta. “Il governo deve intervenire per bloccare la vendita a Telefonica con l’acquisto della sua quota, è sufficiente dirottare parte dei miliardi di euro destinati alla Tav in Val di Susa che neppure il governo francese vuole più” si legge in un passaggio di un post non firmato pubblicato sul sito di Beppe Grillo. “L’Italia perde un altro pezzo, Telecom Italia. Le telecomunicazioni diventano spagnole. Un disastro annunciato da un saccheggio continuato, pianificato e portato a termine con cinismo di quella che era tra le più potenti, innovative e floride società italiane. Fondamentale per le politiche di innovazione del Paese. In passato, anni fa, avevo previsto questa fine ingloriosa con la cessione a Telefonica. La morte di Telecom Italia è iniziata con la sua cessione a debito ai capitani coraggiosi da parte di D’Alema nel 1999, allora presidente del Consiglio. Lui, il merchant banker di palazzo Chigi, è il primo responsabile di questa catastrofe. Un’azienda senza problemi finanziari si ritrovò improvvisamente con più di 30 miliardi di euro di debito”.

“Telecom – si legge nel post  –  possedeva società, immobili, i migliori ingegneri e informatici, aveva la flotta di auto aziendale più grande d’Italia. Un patrimonio costruito con le tasse di generazioni di italiani. In seguito arrivò il tronchetto della felicità e, con lui, la completa spoliazione dell’azienda con cessioni di rami strategici, licenziamenti, scorpori e piani industriali da barzelletta. Tronchetti si dimise nel 2006 lasciando 41 miliardi di debiti, in sostanza, escludendo obbligazioni e cartolarizzazioni varie (i pagherò agli investitori), quelli ereditati da Colaninno e Gnutti. Ma con in meno però tutte le aziende vendute. Bernabè ha agito in seguito da liquidatore, poteva solo dare l’estrema unzione. E adesso? Chi ci ha rubato il futuro deve rispondere di fronte alla nazione di questo scempio. Chi ha guadagnato dalla distruzione di Telecom e del suo grande indotto? I consiglieri di amministrazione? Gli azionisti? I partiti? Per molti la Telecom – prosegue l’intervento – è stato un grande affare, il migliore della loro vita. In questi anni invece di ridurre il debito si sono pagati dividendi agli azionisti, super stipendi ai manager e gettoni d’oro ai consiglieri di amministrazione. Un’azienda quotata a 4 euro è precipitata a 0,61 euro. Ha quasi azzerato il suo valore. Il danno che deriva all’Italia dalla perdita di Telecom Italia è immenso. Il governo deve intervenire per bloccare la vendita a Telefonica con l’acquisto della sua quota, è sufficiente dirottare parte dei miliardi di euro destinati alla Tav in Val di Susa che neppure il governo francese vuole più. Subito dopo va avviata una commissione di inchiesta parlamentare per accertare le responsabilità e gli eventuali guadagni illeciti”. “Perdo i pezzi ma non è per colpa mia ora c’ho praticamente un gran testone e un testicolo per la riproduzione (L’uomo che perde i pezzi, Gaber)”. 

D’Alema: “Non ho venduto nessuna azienda, decise Ciampi”. A Grillo risponde l’ex premier: “Non ho venduto nessuna azienda. Telecom era già privatizzata ed è stata acquistata con una opa sul mercato, come è naturale che accada in una economia di mercato” dice l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, in una nota. “Fu deciso concordemente – ricorda – che il governo non dovesse intervenire e tale decisione fu presa innanzitutto con il concorso di chi ne aveva la diretta responsabilità, cioè il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi. Ancora oggi penso che fu una scelta giusta quella di rispettare il mercato e consentire che una grande impresa italiana potesse essere acquistata come avviene normalmente in tutti i Paesi di democrazia liberale. Per altro – conclude l’ex premier – è del tutto ridicolo fare discendere le difficoltà e le decisioni odierne, sulle quali giustamente il Parlamento chiede chiarezza, da una vicenda che risale ormai a quasi 15 anni fa e dopo la quale Telecom ha vissuto complesse e infinite vicissitudini. Ancora oggi penso che fu una scelta giusta quella di rispettare il mercato e consentire che una grande impresa italiana potesse essere acquistata come avviene normalmente in tutti i Paesi di democrazia liberale. E’ ridicolo fare discendere difficoltà e decisioni odierne da una vicenda che risale ormai a quasi 15 anni fa”.  

La proposta dell’ex ministro Lanzillotta: “Golden share”. “A Letta dico che deve emanare subito il regolamento sulla golden share (che esiste già ed è stato introdotto durante la premiership di Mario Monti, ndr ) nel settore delle telecomunicazioni, non si capisce perché, a differenza di quanto fatto ad esempio per la sicurezza, sia rimasto chiuso nel cassetto” diceLinda Lanzillotta, vice presidente del Senato intervistata dalla trasmissione Class Cnbc, che parla di un “punto di arrivo di una privatizzazione fatta male, pagata a debito, scaricando i costi sull’azienda e facendo pagare soprattutto i piccoli azionisti. Adesso dopo un colpevole ritardo e immobilismo il governo deve valutare i modi – sostiene l’esponete di Scelta Civica ed ex Pd – per garantire il controllo della rete. Bisogna costruire un percorso per scorporare la rete in modo tale da consentire una maggiore concorrenza nei servizi di tlc e, allo stesso tempo, mobilitare le risorse necessarie a realizzare gli investimenti per la rete di nuova generazione: un interesse strategico del Paese rispetto al quale, gli interessi di parte, devono cedere il passo”. Dossier che conosce molto bene l’ex ministro perché se ne sta occupando la Cassa Depositi e Prestiti, presieduta dal marito ed ex ministro della Funzione Pubblica, Franco Bassanini.

L’economista Reichlin: “Operazione per coinvolgere banche e imprenditori fallita”.  “L’italianità delle aziende non sia più ostacolo all’allocazione efficiente di capitali. La vicenda Telecom è stata gestita male, si è provato in tutti i modi a coinvolgere banche e imprenditori italiani, ma l’operazione è fallita. E ora è importante liberare capitali, soprattutto quelli delle banche, da destinare alla competitività del sistema”. Pietro Reichlin, docente di Economia e prorettore alla Ricerca dell’università Luiss di Roma, sostiene che “l’italianità non è un valore assoluto da perseguire a tutti costi”. Oltretutto, avverte, “le banche italiane hanno fatto su Telecom e anche su Alitalia operazioni fallimentari da miliardi, e queste perdite ricadono ora su tutto il sistema Paese”. Insomma, gli italiani, anche se animati da buona volontà, non ce l’hanno fatta a tenere in casa due degli asset più ‘nazionali’ d’Italia. “Colpa in parte del fatto che i nostri capitalisti non amano il rischio – spiega Reichlin – e di altri fattori che hanno giocato contro l’efficienza”. Come, argomenta l’economista “il fatto che il management italiano sia vecchio, anzi molto vecchio: del resto i giovani li mandiamo via, all’estero”.  Un altro fattore che ha giocato negativamente nelle ‘cordate’ italiane che volevano salvare i brand nazionali dallo straniero “è che è mancata una proprietà che avesse il ‘core business’ per quell’attività e che sapesse sviluppare know how”. Insomma, riassume Reichlin, “non basta mettere un chip o una manciata di soldi per essere a pieno titolo imprenditori capaci di gestire aziende complesse e internazionali. Chiudiamo presto questo capitolo di aziende vendute e cerchiamo di liberare capitali utili per l’economia”.

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