Apertura all’Iran e apprezzamento per il “corso moderato” del nuovo presidente Rohani. Scelta della diplomazia sulla Siria, tenendo però aperta l’opzione dell’intervento militare. Sforzo “sul lungo termine” per arrivare alla fine del conflitto israelo-palestinese. E un’immagine dell’America che non cerca di rovesciare i governi in giro per il mondo, ma che resta “eccezionale per il suo tributo di sangue e il sacrificio per la libertà”. E’ il senso del discorso con cui il presidente americano Barack Obama ha aperto i lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York; un discorso a lungo atteso, che doveva ridefinire e precisare la politica americana soprattutto nei confronti di Siria e Iran e che ha avuto proprio nel rilancio dell’opzione diplomatica il suo senso più forte.

La parte più attesa del discorso era quella dedicata all’Iran. Le recenti aperture del presidente Hassan Rohani hanno costretto l’amministrazione Obama a rivedere le proprie strategie. Fonti della Casa Bianca hanno spiegato che il discorso di Obama, nella parte dedicata all’Iran, è stato limato fino a poco prima dell’apertura della seduta alle Nazioni Unite; e per giorni si è parlato di un possibile incontro – il primo in più di 30 anni – tra Obama e Rohani nelle stanze del Palazzo di Vetro. L’incontro è stato poi ufficialmente negato dal ministero degli esteri iraniano, ma il fatto che si sia almeno contemplata la possibilità di un colloquio diretto è già un passo avanti dopo anni di sfide e incomprensioni.

In effetti Obama ha in qualche modo “aperto” all’Iran. Ha accolto come un segno positivo la ricerca da parte del governo iraniano di “un corso più moderato”, spiegando che esso offre le basi per mettere in moto un processo diplomatico con Teheran. Riaffermando che “non tollereremo lo sviluppo o l’uso di armi di distruzione di massa”, il presidente Usa ha però aggiunto che “ci potrebbero essere le basi per un accordo sul nucleare con l’Iran basato sulle recenti dichiarazioni della leadership iraniana”. La nuova moderazione di Rohani “deve però essere seguita dalle azioni”, ha spiegato Obama, che ha detto anche di aver chiesto al segretario di Stato John Kerry di “perseguire mezzi diplomatici con Teheran, in coordinamento con le altre nazioni del 5+1”. Kerry, insieme agli altri negoziatori internazionali, incontrerà giovedì il ministro degli esteri iraniano Mohammed Javad Zarif, anche se non è ancora chiaro se ci sarà un incontro a due tra Kerry e Zarif.

Sulla Siria, Obama ha detto che “è nell’interesse degli Stati Uniti e del mondo imporre un bando alle armi chimiche”. Il presidente ha riaffermato con forza, in un passo che è sembrato rivolto esplicitamente alla Russia, che i ribelli in Siria non hanno sferrato alcun attacco con le armi chimiche e che “ci sono prove evidenti” delle responsabilità del governo di Assad nel massacro alla periferia di Damasco del 21 agosto. Nel promettere, da parte americana, 340 milioni di dollari supplementari per la Siria, Obama ha chiesto all’Onu una risoluzione forte, che costringa Damasco a rispettare gli impegni presi sulla consegna del proprio arsenale chimico.

In altre parole, pur senza pronunciare mai il termine, Obama ha chiesto che la futura risoluzione sulla Siria venga agganciata al Chapter 7 della Carta delle Nazioni Unite, quella che prevede l’uso di mezzi militari, o di sanzioni economiche, nel caso il Paese soggetto alla risoluzione non ne rispetti gli obblighi. E’ quello che Mosca, sinora, non si è detta disponibile a concedere, preannunciando anzi il veto nel caso in cui la risoluzione comprenda qualsiasi accenno all’uso della forza in Siria. Obama ha invece chiesto che l’opzione militare resti sullo sfondo. “Se non possiamo metterci d’accordo su questo – ha detto il presidente Usa – mostreremo che le Nazioni Unite non sono capaci neppure di implementare le più basilari tra le leggi internazionali. Al contrario, se ci riusciamo, manderemo un messaggio potente sul fatto che questo tipo di armi non hanno alcuno spazio nel 21esimo secolo”.

Dopo aver riaffermato che gli Stati Uniti non verranno mai a compromessi sull’esistenza di Israele, e aver spiegato che è comunque necessario rispondere alle “aspirazioni dei giovani palestinesi” e arrivare alla creazione di due Stati, autonomi e indipendenti, Obama è infine passato a delineare i contorni della politica americana nel mondo per i prossimi anni. Pur ribadendo che gli Stati Uniti “non hanno alcuna intenzione di cercare il regime change” in Iran o in altri Paesi dell’area, e che in Egitto la sua amministrazione ha coscientemente cercato di star fuori dai conflitti interni, il presidente ha spiegato che il progressivo disimpegno degli Stati Uniti nel mondo è una minaccia alla stabilizzazione, non un contributo alla pace. Obama ha riaffermato con convinzione quanto fatto dalla sua amministrazione nei mesi scorsi – “Abbiamo salvato un enorme numero di vite umane in Libia”, ha detto – e rilanciato un’immagine degli Stati Uniti come promotore di democrazia all’interno di un quadro di relazioni ed equilibri internazionali: “Siamo pronti a fare la nostra parte per prevenire atrocità di massa e tutelare i diritti umani, ma non possiamo e non dobbiamo sopportare il peso da soli”, ha spiegato il presidente.

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