Cosa sta succedendo alla Silicon Valley e al modello perfettissimo del lavoro inteso come passione? Chi sta uccidendo le magnifiche sorti e progressive del lavoro in salsa hi-tech, il sistema che ha mietuto molti seguaci (almeno a parole) anche qui nell’Europa continentale (anche se poi, a conti fatti, in pochi hanno deciso di adottare quel riferimento nel welfare come nel business)?

In queste ultime settimane c’è chi getta benzina sul fuoco. Fuoco amico, aggiungerei, perché a sanzionare la soluzione aziendale californiana è Joscelin Cooper, nota consulente aziendale, dalle colonne di Forbes. Il suo post si intitola  Why Silicon Valley’s Work Culture Is Killing Us”, ovvero “Perché la cultura del lavoro della Silicon Valley ci sta uccidendo”. Il pezzo denuncia come la flessibilità sbandierata sia soltanto un alibi e che “il lavoro rappresenti di fatto una religione e la vita privata qualcosa da inserirci dentro”.

Così scrive Cooper: “Qualsiasi discorso legato al famoso work-life balance, ovvero al bilanciamento vita professionale e vita personale inteso come un costante e difficile equilibrio, è trattato in Silicon Valley con generiche citazioni e riferimenti di massima”. Insomma, per la Cooper molte  parole ma pochi fatti. L’orario di lavoro inteso come una maratona, ovvero oltre le 55 ore settimanali, fa parte del DNA della Silicon Valley. “Certamente, si registra una forte eccitazione nella fase di avvio di progetti, ma il problema è che questo focus esclusivo sul lavoro finisce per favorire le assunzioni tra i giovanissimi (che non hanno famiglia), soprattutto uomini, a svantaggio delle donne che vogliono costruirsi una famiglia”.

E’ un tema strategico anche per l’Italia, e lo sua attualità la si respira non soltanto nel mondo delle multinazionali o delle strutture di impresa con un numero considerevole di dipendenti. Il famoso bilanciamento “tempo del lavoro e tempo libero e per la famiglia” è un punto delicatissimo per le micro-imprese nostrane a conduzione familiare, e per le piccole e piccolissime realtà aziendali. Nella mappatura dei wwworkers, ovvero i lavoratori della rete tante volte raccontati dalle colonne di questo blog, è proprio questo osmosi tra tempo privato e tempo del lavoro a generare maggiori criticità: chi lavora in proprio o in strutture piccole tende a lavorare molto di più. Proprio raccontando il fenomeno dei wwworkers avevamo descritto il fenomeno dell’orario continuativo che lambiva anche week-end e ore serali.

“Per essere veramente innovativi le donne (e gli uomini) in Silicon Valley dovrebbero compiere passi decisivi per svezzarsi dalla dipendenza dal lavoro”, precisa Cooper. La proposta è quella di mettere delle regole, come ad esempio non mandare e-mail alle 22 in poi, non fissare le riunioni dopo le 6 del pomeriggio, farsi una passeggiata in pausa pranzo o ancora sostenere politiche aziendali più flessibili sul lavoro a distanza o su quello part-time. Per Cooper questa rivoluzione passa soltanto dalla presa di posizione decisa di una massa critica, una schiera di dipendenti che possano tornare a valutare l’importanza della rispettiva vita privata, oltre che la carriera.

E allora mi chiedo, tornando nuovamente in Italia: queste regole di buon senso proposte da Cooper in quante aziende strutturate sono già adottate? E in quante micro-imprese o ditte individuali? E soprattutto di contro in quanti casi sono disattese?

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