Gli Arcane Roots non sono un gruppo per cui vi stropiccerete gli occhi: non sarebbe giusto per loro e, per certi versi, sarebbe anche scorretto da parte mia presentarli così. Sono una band inglese giovane, promettente, che assieme ad altri pezzi da Novanta quali Syd ArthurSavages o Alt-J costituirà probabilmente il futuro musicale se non europeo comunque anglosassone.

Vorrei poi cominciare con un avvertimento e pregarvi di non iniziare ad associarli a qualche grande del passato o tacciarli di poca originalità: ve lo dico io, non sono originali. Anzitutto perché non è spregevole prendere spunto dal sound e dalle idee altrui, secondo poi perché questo non sposta nulla: chi ha veramente inventato qualcosa? Nulla nasce dal nulla e per quanti esempi possano balenarvi proprio ora in testa sappiate che semplicemente facendo un giro su wikipedia rischiereste di essere smentiti alla grande. Ma questa è un’altra storia.

Se nei confronti della musica nuova persiste un atteggiamento del tipo “va bene purché non dia fastidio a me”, credo che questo “Blood & Chemistry” – secondo lavoro in due anni – degli Arcane Roots possa invece mettere d’accordo tutti: dalla consapevolezza strumentale e dal gusto e buonsenso che questi ragazzotti dimostrano di avere è difficile fuggire consapevolmente. Se ne sono accorti persino i Muse, che quando erano ancora meno conosciuti di ora se li sono portati in giro per l’Europa nella fase finale del tour del loro ultimo “The 2nd Law”: ed è questa la potenza della musica al giorno d’oggi.

Così come capitò a me di incappare quasi per sbaglio nella loro splendida “You Are”, anche Matthew Bellamy deve aver ringraziato magari la sua insonnia per essere quasi disgraziatamente inciampato in loro: e dico “disgraziatamente” perché, a voler essere neanche troppo generoso, questo lavoro degli Arcane Roots batterebbe 3 a 0 in trasferta molta dell’ultima produzione dei Muse.

Gli Arcane Roots sono la riprova che mai come in questo momento, la distanza tra quelli che in musica contano e quelli che ancora mangiano polvere può essere veramente minima: “Blood & Chemistry” è un saggio di tecnica, armonia, bellezza anche minimale e immediatezza che poche band al mondo, specie agli inizi, credo abbiano. Affermazione anche questa viziata nella forma, poiché né io né voi conosciamo “tutte le band del mondo” ma facciamo che ci siamo capiti.

Dall’immediatezza alternative-metal di “Slow” alla lentezza di ballatone come “Belief”, che un domani – sono sicuro – verranno cantate a squarciagola da uno stadio intero illuminato di soli accendini, all’arrembante “Triptych” (che rifà il verso a 20 anni di progressive-metal) alla timidezza aggressiva dell’ultima “You Keep Me Here”, che chiude in maniera trionfale una marcia rock senza esitazioni che potrebbe valere i migliori 20 euro da voi spesi ultimamente.

Che poi fa anche figo, no? Andare dai vostri amici con questo cd in mano e vantarvi di saperne una in più del diavolo magari fermando l’ascolto compulsivo, l’ennesimo, di “Master Of Puppets” piuttosto che “Images & Words” o “Rust In Peace” o “In Rock” o “Led Zeppelin III”. E sarebbe già un traguardo riuscire ad ascoltare questo disco con lo stesso rispetto, se non altro.

Che lo vogliate o meno, altro dato incontrastabile è il fatto che questo album, a cinque mesi dall’uscita ufficiale nel resto d’Europa e del mondo, uscirà in Italia il 17 settembre (quindi tra pochi giorni): a testimonianza del fatto che non è neanche vero che la musica non si vende quanto piuttosto potremmo dire che i “soliti” pochi vendono meno, a dispetto di tutti gli altri in coda.

Buon ascolto. 

Articolo Precedente

Lo specchio riflesso degli Arcade Fire

next
Articolo Successivo

Edward Sharpe & the Magnetic Zeros, comune hippie al ritmo popfolk

next