Mentre leggo Datura (è il poemetto che dà titolo alla raccolta di poesie pubblicata da Einaudi a giugno di quest’anno, nonché una pianta che sembra lacrimare invece che fiorire) mi sembra che Patrizia Cavalli si rivolga direttamente a me, che mi stia parlando, senza fronzoli o preamboli, di cose conosciute ma ora rivelate. Ho la sensazione di averla proprio accanto, questa grande della poesia italiana, capace di creare nelle sue strofe un ponte intimo e sfacciato con il suo lettore; mi pare addirittura di sentirla sussurrare la poesia che sto leggendo e sento che sorride al mio sorridere. La sua poesia ha un che di indagatorio, quasi scostumato nel portarmi in questi mondi suoi, così privati eppure universali. Scrive della noia, dell’amore, del silenzio con parole che sono ruvide al tatto e dolci al suono. Poi improvvisa spalanca la finestra e allora un coro di voci, mischiate alle grida acide dei gabbiani di Roma, si precipita sulla scrivania. C’è tutto il popolo della capitale che affolla ora la mia stanza. Questo è il miracolo del poemetto Patria. Lettura obbligatoria per chi vuole davvero capire cosa siamo.

“Se non faccio qualche pazzia, impazzisco”, scrive nel l’angelo labiale, in cui associa i rumori, il baccano prepotente di un clacson, di un martello, a un boccone che ci viene infilato a forza nella bocca quando siamo sazi. Ed è qui che parla del silenzio, di quel meraviglioso fioccare che “l’altra notte mi si è sdraiato intorno” e che improvviso ha portato la voglia di giocare con il cellulare.

Basta così: trascriverò i versi che mi hanno fatto ridere, (ed amare i punti esclamativi, in genere così invisi al mio piacere letterario), mentre lei, fantasma ridanciano, annuisce soddisfatta quanto basta, fumando sigarette e con il bicchiere in mano (vino e fumo, altri grandi amori a cui dedica versi):

L’ernia sacrale

 Stava affacciata lì, bamboleggiava

indecisa se andarsene o restare,

sporgendo in fuori pericolosamente

quasi giocasse alla fuoriuscita.

Finché un bel giorno – Fuori di qui,

vattene, ma chi ti vuole! – un calcio

in culo e via, nell’inforame.

Come ogni espulso è piena di rancore,

si adopra in tutti i modi alla vendetta,

si insinua, s’appoggia, dà fastidio,

toglie spazio e respiro a ogni vicino.

Ora ha preso di mira un certo nervo

che, in quanto nervo, è molto suscettibile

e ha facili entrature per raggiungere

con aspre querimonie il suo padrone,

il quale sì, l’ascolta, ma infine che può fare

se non ricorrere al solito bastone?

Che però infligge a me i suoi colpi, sul groppone!

Risentimenti, insulti, prepotenze –

Ma io che c’entro con queste beghe interne!

 

Leggete Datura di Patrizia Cavalli.

E’ pura allegria

scoprire 

così viva l’italica poesia! 

Articolo Precedente

Manoscritti nel cassetto 34: Caduceo (di Pierpaolo Bonfante)

next
Articolo Successivo

Canova e lo spostamento delle opere d’arte, il sonno della ragione genera mostre

next