“Ho lasciato il mio paese alcuni giorni fa, avevo paura di essere arrestato”. Emad-eldin Elsayed è un video reporter di Al Jazeera Mubashir Masr, la rete egiziana di Al Jazeera. Il canale è stato dichiarato illegale tre giorni fa dal ministero delle telecomunicazioni per aver operato nel paese senza licenza. Una chiara azione politica che fa parte della repressione contro i Fratelli Musulmani del nuovo governo supportato dai militari. “Il giorno dello sgombero di Rabaa el Adaweya sono stato picchiato dalla polizia quando hanno capito per chi lavoravo – racconta Emad, raggiunto via Skype, al fattoquotidiano.it – Ho resistito a tanti momenti difficili quest’anno, ma dopo l’arresto e il pestaggio di altri miei colleghi ho deciso di andarmene”.

Gli uffici dell’emittente erano già stati perquisiti e chiusi il 3 luglio poche ore dopo la deposizione del presidente islamista Morsi. “Quel giorno ero fuori dalla redazione con la troupe – continua Emad – Ci hanno chiamato per dirci che tutti i giornalisti presenti in ufficio erano stati portati in commissariato dopo la perquisizione”. Da allora lo staff di Al Jazeera aveva continuato a lavorare in un appartamento clandestino, mandando i materiali all’ufficio centrale di Doha, città sede dell’emittente, da dove viene trasmesso il segnale.

La storia di Al Jazeera Masr in Egitto è legata a doppio filo a quella del movimento islamista e del suo partito Giustizia e Libertà. La televisione, infatti, è di proprietà dal Qatar e all’inizio della cosiddetta primavera araba aveva sostenuto le sommosse popolari per favorire l’ascesa dei partiti islamici legati alla Fratellanza Musulmana. Il canale egiziano era nato nel marzo del 2011 subito dopo la rivoluzione e la destituzione di Hosni Mubarak. Sino alle elezioni presidenziali, nel maggio del 2012, era diventata una delle reti più seguite e stimate dai rivoluzionari.

La copertura totale delle proteste non solo nella capitale ma in tutto il paese aveva reso Al Jazeera un’emittente vicina ai rivoluzionari contrapposti all’allora transizione militare guidata dal generale Tantawi. “La gente ci riconosceva per strada e ci proteggeva – spiega Emad – Tutto è cambiato dopo l’elezione di Morsi quando la gente ha cominciato a vederci come i protettori dei Fratelli Musulmani. In quest’ultimo anno abbiamo girato senza tessera per non farci riconoscere, i nostri giornalisti spesso si coprivano il capo per non essere riconosciuti per strada durante le manifestazioni”. La perquisizione degli uffici nel novembre 2011 da parte della polizia aveva suscitato indignazione tra i rivoluzionari e i partiti laici. Ora, invece, la situazione si è ribaltata e per le strade del Cairo è difficile trovare qualcuno che esprima solidarietà verso i giornalisti dell’emittente.

“Erano il megafono di Morsi, erano diventati di parte – spiega Waleed, commerciante del centro cairota –  Ora con il nuovo governo transitorio potevano diventare pericolosi”. Dal giugno del 2012 Al Jazeera è così diventata il nemico numero uno di piazza Tahrir, i suoi reporter sono stati aggrediti diverse volte durante le manifestazioni sino allo scorso dicembre quando lo studio a piazza Tahrir era stato attaccato con un lancio di molotov. Dal 3 luglio a oggi poi diversi reporter sono stati arrestati dalla polizia e i loro materiali confiscati.

“La nostra chiusura era prevedibile dopo la fine del governo islamista – continua Emad – Sapevamo che l’esercito aveva tutto l’interesse a eliminarci”. La repressione governativa ha toccato anche il canale inglese di Al Jazeera. La settimana scorsa tre reporter stranieri sono stati arrestati e rimpatriati mentre il governo egiziano ha tentato ripetutamente di bloccare il segnale costringendo l’emittente di Doha a cambiare diverse volte le frequenze. Episodi preoccupanti per la tutela della libertà di stampa e già denunciati anche da diverse organizzazioni internazionali come Reporter sans Frontieres, che ha condannato la chiusura del canale egiziano di Al Jazeera da parte delle autorità governative.

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