Si definisce una “Capra Sognante” (niente a che vedere con una figura che è una via di mezzo fra Vittorio Sgarbi e un “barbaro” leghista) Mirco Mariani in arte Saluti da Saturno, a dimostrazione che lui, giovane musicista di provincia, nonostante abbia suonato per diversi anni come batterista con gente del calibro di Enrico Rava e Vinicio Capossela, non è un tipo troppo ambizioso né tantomeno il “poeta dannato” vittima delle proprie disgrazie. Il suo genio sta proprio nella semplicità e spontaneità che è in grado di miscelare alla perfezione, unite a un necessario pizzico di follia.

Con Dancing Polonia, il suo terzo album, uscito lo scorso 2 settembre, segna un importante cambio di rotta nella propria cifra stilistica. Dal Pianobar Futuristico Elettromeccanico, basato sul principio strutturale dell’Optigan, strumento da pianobar per eccellenza, al Free Jazz Cantautorale, ha deciso di declinare la responsabilità strutturale delle canzoni al pianoforte, strumento per eccellenza della canzone d’autore farcita con velature e sfumature di Free Jazz. Un Free Jazz Cantautorale che vive di una libertà poetica ispirata dai sapori e dalle immagini di film finlandesi, armeni e italiani, oltreché dai ricordi e sogni di un bambino che solo attraverso la musica ha guardato il mondo.

E le contraddizioni che caratterizzano il mondo e la personalità di Mirco Mariani, si ripercuotono in modo decisivo e diretto sulla propria produzione musicale. “Il Dancing Polonia – spiega – è il nostro locale itinerante con colori accesi, comode poltrone in similpelle, tavolini rotondi con un fiore sopra e un bel bancone con tante bottiglie e con una barista bella ma non più giovane, con tante storie da raccontare e ci si sente protetti come dentro un condominio volante che da fermo ti fa girare il mondo”. È qui che sono nati e “cresciuti” i dieci brani che compongono questo ottimo disco, anticipato dal singolo “Un giorno nuovo” che vede lo statunitense Arto Lindsay come ospite d’eccezione alla chitarra. Ma andiamo a conoscere meglio chi si cela dietro Saluti da Saturno.

Ciao Mirco, innanzitutto partirei dal nome d’arte, “Saluti da Saturno”. Mi racconti come è venuto fuori?
L’idea di Saluti da Saturno è venuta a uno dei nostri cantanti, Roberto Greggi, dopo una lunga chiacchierata sul fatto di sentirsi un po’ per aria e sempre di più trascinati dalla voglia di vivere dentro un film e meno nella realtà quotidiana, che sempre meno mi appartiene. Saturno mi sembrava la giusta distanza per mantenere sotto controllo le cose, standone lontani e a volte sentendone solo l’eco.

Si intitola “Dancing Polonia” il tuo terzo album, dal nome del locale che frequentate. Cosa ti ha ispirato maggiormente nel crare questo album?
La fonte di maggior ispirazione di questo lavoro è sicuramente il cinema, la mia grande passione quasi ossessiva. Adoro il cinema dai capelli spettinati di Aki Kaurismaki dove quasi involontariamente, ci si ritrova dentro a un “Dancing Polonia” e ne vieni inghiottito; in sottofondo orchestrine stralunate ma perfette per l’occasione, un luogo dove ci si prende poco sul serio ma nello stesso tempo si è maniacali per i dettagli minuscoli, dove ci si stringe la mano e si respira aria di libertà creativa e la moda di massa è vietata.

Come ti senti a pochi giorni dall’uscita del tuo nuovo disco? Come pensi di promuoverlo?
La mia promozione preferita è la Gita Futurista, dove si viaggia, si suona e a volte ci si innamora. Il concerto inteso come evento dimostrativo incomincio a digerirlo con fatica, sia da ascoltatore sia da esecutore. Anche questa volta il momento più alto verrà toccato quando ai primi di ottobre partiremo con un pullman assieme a tanti amici di Saluti da Saturno e per una settimana attraverseremo la Germania fino ad arrivare in Polonia, cercando di creare un’atmosfera più surreale possibile, dentro un “Dancing Polonia” viaggiante. Anzi Pasquale, ne approfitto per invitarti…

La tua musica fonde e assembla diversi generi, ma mi diresti qual è quello a te più congeniale? Quali sono i tuoi punti di riferimento?
Gli ascolti che mi hanno accompagnato e coccolato nell’ultimo periodo sono Secondo Casadei e Ornette Coleman, il primo è molto importante per ciò che mi lega alla musica romagnola e alle mie prime fondamentali esperienze sul palcoscenico. Tutto appare trasparente e a tratti banale, ma nasconde una profonda sensibilità nel creare una magica giostra di suoni, che si fonde in empatia con il pubblico. Il secondo, invece, risveglia in me l’istinto dell’animale selvaggio dove ogni sentiero da percorrere può essere quello giusto e le regole fanno parte di un’altra vita, altrove.

Come sono nate le nuove canzoni? Hai un metodo preciso di composizione e se sì, me lo descriveresti?
Le mie canzoni nascono spesso da un’emozione che sto vivendo, magari anche piccola ma per me abbastanza interessante da potermici soffermare e inventarmi sopra una storia simile a quella vissuta in una dimensione di sogno a occhi aperti, visto che a me piace molto guardare la musica e le note e immaginarci sopra dei frammenti di vita.

Nel disco vi sono diverse collaborazioni. Mi racconti come sono nate e cos’è che ti lega agli artisti che hanno partecipato alla produzione del tuo disco?
Le partecipazioni sono fondamentali quando si ha la fortuna, come nel mio caso, di avere incontrato persone e musicisti fantastici. Sono attratto sia da chi è molto vicino a me musicalmente, ma anche da chi è dalla parte opposta. In Dancing Polonia si realizza il sogno di avere tra noi Arto Lindsay, senza ombra di dubbio uno dei musicisti che più amo e che più mi hanno influenzato, per il suo approccio dinamico e di rottura che riesce a inserire con grande intelligenza anche nel lavoro di altri. Dopo averlo conosciuto è addirittura aumentata la mia stima nei suoi confronti; Massimo Simonini (produttore artistico del disco) gli ha spedito i brani e Arto nel giro di pochi giorni ci li ha rimandati con sopra le sue tracce registrate, regalandomi una visione più chiara dell’immagine sbiadita del mio free jazz cantautorale.

Articolo Precedente

Arnold Böcklin: la crisalide di Ulisse

next
Articolo Successivo

Mostra del cinema di Venezia: il viaggio di Rosi sul Sacro GRA

next