Come ricercatore ho imparato quanto la libera circolazione del sapere sia essenziale per il progresso della scienze: quando si tratta di medicine, il segreto mette addirittura a rischio la nostra salute.
Ce ne parla Marco Cosentino.

Ricordate il caso del Tamiflu? Nel 2009, ai tempi della paventata epidemia di influenza suina H1N1, molti “esperti” sostennero che si trattava di un farmaco salvavita in grado di ridurre drasticamente le possibili complicanze dell’influenza: convinzione supportata principalmente da una sintesi degli studi (in gergo: “metanalisi”) che l’industria produttrice di Tamiflu aveva condotto negli anni ’90 per ottenere l’autorizzazione a commercializzare il medicinale.  

Su queste basi gli Usa investirono ben 1,5 miliardi di dollari per acquistare questo antivirale, mentre in Italia la cifra verosimilmente superò di molto i 100 milioni di euro. Ma la Food and Drug Administration (FDA) statunitense giunse in seguito, a partire dagli stessi studi, a conclusioni opposte: Tamiflu non è efficace nel ridurre le complicanze dell’influenza. Centinaia di milioni di euro buttati via.

Questa e altre storie sono raccontate in un articolo comparso lo scorso anno su PLoS Medicine: si parla del rosiglitazone, un farmaco antidiabetico accusato di aver causato decine di migliaia di attacchi di cuore, del gabapentin, un antiepilettico promosso per un certo periodo anche per l’impiego in condizioni psichiatriche, nelle quali invece si è rivelato deleterio,  e del rofecoxib, un antiinfiammatorio che si stima abbia causato almeno 88.000 casi (ma alcune stime superano i 140.000) di gravi malattie cardiache, la metà dei quali con esito fatale, prima di essere ritirato dal commercio.

Cosa accomuna tutte queste vicende? Il segreto: ovvero, il diritto (indiscusso fino a poco tempo fa) delle industrie farmaceutiche di trattare i risultati degli studi clinici di nuovi medicinali come veri e propri segreti industriali.

Medici e ricercatori sono da tempo giunti alla conclusione che rendere pubblicamente disponibili in maniera completa e accurata i risultati delle ricerche sugli esseri umani sia un vero e proprio dovere, ma le case farmaceutiche non mollano l’osso. Qualche mese fa due di loro, la AbbVie e la InterMune, hanno avviato un’azione legale per bloccare il progetto dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA, European Medicines Agency) di rendere disponibili i risultati delle sperimentazioni cliniche di nuovi medicinali a medici e ricercatori indipendenti. AbbVie mira a bloccare l’accesso ai risultati di due studi che riguardano Humira, un farmaco biologico per l’artrite reumatoide, i cui ricavi nel solo 2012 ammontano a oltre 9 miliardi di dollari a livello mondiale.  InterMune vuole impedire che siano resi noti i risultati degli studi su Esbriet, un nuovo farmaco per la fibrosi polmonare idiopatica (una grave malattia fino ad oggi priva di valide terapie) recentemente approvato da EMA ma non da FDA, che ha richiesto ulteriori prove di efficacia. I dettagli della vicenda sono raccontati da David Healy in un post sul suo blog.

Healy, psichiatra, psicofarmacologo e fondatore del sito web Rxisk.org, ha promosso un appello affinché AbbVie e InterMune rinuncino alla causa contro EMA e rendano disponibili tutti i dati che riguardano i pazienti trattati con Humira, Esbriet e gli altri loro prodotti. L’appello, anche in versione italiana,  è indirizzato anche al Presidente USA Barack Obama affinché il libero accesso ai risultati delle sperimentazioni cliniche dei medicinali sia assicurato pure dalla FDA. E’ possibile firmare l’appello sul web collegandosi a questa pagina.

Garantire l’efficacia e la sicurezza dei medicinali è nell’interesse di tutti, non solo degli “addetti ai lavori”: sostenere l’appello vuol dire fornire il proprio contributo affinché i farmaci di cui disponiamo siano innanzitutto delle buone medicine.

Marco Cosentino, Professore di Farmacologia, Direttore del Centro di Ricerche in Farmacologia Medica nell’Università degli Studi dell’Insubria

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