In medicina e in sanità è accaduto un fatto che può essere foriero di cambiamenti oppure no. Ormai statisticamente le donne medico sono una ampia maggioranza rispetto agli uomini al punto che se calcoliamo le iscrizioni all’università, si può dire che nel breve medio periodo le donne medico saranno oltre i tre quarti dell’intero universo di medici.

Non è detto che questo dato, quindi questa evidenza statistica, sia di per sé foriera di cambiamenti, nel senso che non basta una maggioranza, per giunta statistica, in quanto tale, a determinare un cambiamento. Per far in modo che una maggioranza si esprima come tale deve avere un proprio pensiero originale. Tale maggioranza inizia lentamente a formarsi, fin dagli anni 70, rivelandosi comunque un processo lungo e progressivo, e, sino ad ora, essa si è di fatto integrata nel paradigma dominante pur accumulando nel tempo una lunga serie di sempre più pesanti contraddizioni che prima o poi esploderanno.

Per rendersene conto è sufficiente consultare “Quotidianosanità.it” che a questo proposito, attraverso uno speciale aperto, sta ospitando un interessante dibattito che, è il caso di dirlo, è abbastanza unico nel suo “genere”. In questo speciale si possono leggere le storie di donne medico e comprendere per certi versi la drammaticità della loro condizione professionale, fatta da svantaggi, da soprusi, in certi casi anche da molestie sessuali, e che si appalesano soprattutto nella penalizzazione delle carriere e nella preclusione ai ruoli di direzione e di responsabilità, ma non solo questo. I due problemi più grandi che si percepiscono sono:

  • l’essere obbligate come donne ad adattarsi comunque ad un paradigma indubbiamente a dominanza maschile, e quindi a ricorrere, come scrivono alcune di loro, a vere e proprie “strategie mimetiche”.

  • accettare concezioni anche superate delle medicina, organizzazioni del lavoro da ripensare, modelli comportamentali anacronistici.

Cioè in una parola le donne, che comunque sono nuovi ingressi nel mercato del lavoro sanitario, rappresentassero un potenziale di cambiamento se volessero affermarsi professionalmente sarebbero costrette a rinunciarvi o quanto meno a mettere un silenziatore.

Questo stato di cose, in un modo o in un altro, crea come dicevo delle contraddizioni anche pesanti. Ad esempio non si può pensare che le presidenze degli ordini professionali continuino ad essere a stragrande maggioranza maschile, stessa cosa vale per la maggioranza delle società scientifiche. Prima o poi saranno necessari quanto meno dei riequilibri, delle armonizzazioni, dei compromessi nella condivisione dei tanti tipi di poteri che insistono in medicina e in sanità .Ma non sono questi i problemi più importanti. Una maggioranza pone sempre inevitabilmente un problema “politico”:

  • nei confronti di una minoranza, quindi rispetto a eventuali conflitti di volontà.

  • nei confronti di un progetto cioè rispetto ad altre concezioni della medicina.

Le donne non solo sono più numerose degli uomini ma sono anche le intelligenze più fresche a disposizione del sistema, cioè sono il grosso delle nuove generazioni al quale non si può continuare a proporre modelli di medicina omeostatici e invarianti. In questo senso le donne rappresentano, in quanto comunque nuove risorse intellettuali, la parte “impermanente” del sistema, quindi il bisogno di cambiamento, nei confronti della parte “permanente”, cioè dell’ortodossia, della conservazione e dell’invarianza.

Alla questione “genere” si accompagna anche quella “generazionale” con tutto quello che comporta. Con questa chiave di lettura io leggo, sempre nello speciale di QS, anche se ancora in nuce, un “riformismo potenziale” che orienta, soprattutto alcune donne, a ridiscutere le attuali forme di organizzazione del lavoro, gli attuali approcci alla cura, oltre ché ad aprire un nuovo capitolo sui loro diritti. Tutto questo è come se avesse il sapore di una organizzazione e di una concezione della medicina al “femminile”, anche se, da parte mia, sono poco incline ad accettare equazioni automatiche tra “genere” e “medicina”. Conosco un mucchio di donne medico che sono perfettamente mascolinizzate professionalmente esattamente come la manodopera femminile in una fabbrica tessile. Ma dallo speciale di QS viene fuori un “genere” nel “genere” che al contrario di quello mascolinizzato, mimetizzato e integrato, si batte silenziosamente per cambiare lo stato delle cose.

Da parte mia, la medicina dovrebbe essere di genere “neutro” nel senso che la formazione del medico dovrebbe valere alla stessa maniera tanto per gli uomini che per le donne, ma questo non vuol dire che “neutro” sia indifferente alle qualità anche antropologiche del genere (maschile o femminile), ma solo che tali qualità debbono essere condivisibili ma soprattutto spendibili nell’interesse del malato.

In un convegno sulla medicina declinata al femminile del 2007 organizzato dalla Fnomceo, nella relazione introduttiva, se non sbaglio, si distingueva una tipologia maschile di medico, razionale, e una tipologia femminile di medico, innatista e di indole passionale, una distinzione che parafrasando Levi-Strauss, quello del “crudo” e del “cotto”, sarebbe tra “una medicina fredda” e “una medicina calda”, che, per tante ragioni, proprio in medicina lascia il tempo che trova. Ma supponiamo che freddo e caldo abbiano un senso. In questo caso la questione nell’interesse della medicina non è se razionalità e indole sono in competizione ma sole se entrambe possono concorrere a definire una medicina migliore. Cioè se entrambe sono un valore aggiunto per il malato e in quanto tali traducibili in una formazione adeguata.

In conclusione la maggioranza al femminile dei medici si trova davanti ad una scelta politica: medicina invariante o altra medicina. Do per scontato l’inevitabilità di una battaglia per i diritti delle donne, ma oggi la medicina ha bisogno, per tanti motivi descritti a più riprese su questo blog, di cambiare, per cui sarà interessante capire come le donne medico affronteranno il cambiamento. Se esse, come io spero, saranno portatrici di una nuova qualità della medicina esse diventeranno un fenomeno degno di questo nome e non semplicemente un turn over di genere e gli uomini maschi vi si dovranno adeguare.

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