Nell’ultimo vertice della Lega Araba, due giorni fa al Cairo, il segretario generale Nabil Alarabi, ha ripetuto che per la Lega il governo siriano è responsabile per il presunto l’attacco chimico, ma che un intervento militare internazionale “è fuori discussione”, senza l’avallo dell’Onu. La Lega Araba ha espulso la Siria a novembre del 2011, pochi mesi dopo l’inizio della repressione e dei combattimenti. Tuttavia, i paesi dell’organizzazione non sono affatto concordi nel sostenere un possibile intervento armato internazionale contro il governo di Damasco. Pochi giorni fa, infatti, il rappresentante egiziano presso la Lega, Amr Atta, ha spiegato che l’organizzazione è contraria a un attacco diretto contro il governo di Damasco e continua a sperare nel successo della mediazione all’Onu, nonostante il fallimento delle due missioni precedenti, affidate prima a Kofi Annan e poi a Lakhdar Brahimi. Nel vertice del Cairo, la Lega, tuttavia, ha chiesto misure di “deterrenza” contro il governo siriano e questa posizione esitante riflette le divergenze di opinione nell’organizzazione. L’Arabia Saudita, per esempio, oltre a essere uno dei principali sostenitori dei ribelli (soprattutto delle formazioni islamiste) ha chiesto, attraverso il ministro degli esteri Saud al-Faisal, alla comunità internazionale di usare “tutto il proprio potere” per “fermare l’aggressione contro il popolo siriano”.

Molto più cauti altri paesi, a partire dall’Egitto, dove i militari hanno i loro problemi interni, fino alla Giordania. Il regno hashemita è alle prese con la sua fetta di emergenza umanitaria, con oltre mezzo milione di profughi siriani (dati Unhcr) ospitati con enormi difficoltà nei campi profughi nel deserto. Il Libano, che ha ricevuto oltre 700 mila profughi siriani, si tiene defilato e non appoggia un intervento armato internazionale, di cui potrebbe restare vittima, tutt’altro che collaterale, se il conflitto si espandesse. Anche l’Iraq, dilaniato da uno stillicidio di attentati quasi quotidiani con decine di morti e centinaia di feriti, teme il contagio e soprattutto di essere preso nel mezzo della guerra strisciante tra sunniti e sciiti, di cui la Siria sembra essere il primo fronte.

Non è bastato, al vertice del Cairo, l’intervento di uno dei rappresentanti del Consiglio Nazionale Siriano, Ahmed Aljarba, a convincere i ministri degli esteri dei 22 paesi della Lega Araba ad appoggiare l’opzione militare contro il governo di Damasco. I dubbi, le paure e le fondate preoccupazioni giordane ed irachene sono condivise anche nel Maghreb. Tunisia e Algeria, per esempio, rimangono schierate tra gli scettici. E se il Qatar gioca su più tavoli, finanziando i ribelli da un lato e ospitando a Doha, all’inizio dell’estate, uno degli ultimi vertici internazionali per cercare una soluzione negoziata alla crisi siriana, un altro paese in bilico è il Bahrein. La dinastia regnante ha represso le proteste della maggioranza sciita – accusando anche l’Iran di averle fomentate – con l’aiuto militare saudita e degli altri paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo. Ma il Bahrein ospita anche il comando della Quinta flotta statunitense. Ed è a un tiro di missile dalle coste iraniane.

La Turchia. Il governo di Erdogan, pur un tempo amico di Damasco, ha cambiato posizione fin dai primi mesi del conflitto armato e sostiene apertamente, sia politicamente che logisticamente, i ribelli antigovernativi, specialmente quelli del Free Syria Army. La Turchia, inoltre, è impegnata nel soccorso ai profughi che scappano dai combattimenti: circa 460 mila, secondo l’Unhcr, hanno trovato riparo oltre il confine turco. Favorevole a un’azione militare contro il governo siriano, la Turchia ha già da diversi mesi rafforzato il proprio dispositivo militare alla frontiera con la Siria, anche per fronteggiare eventuali “turbolenze” kurde. Se ci fosse un’azione militare più estesa rispetto ai “semplici” bombardamenti aerei o missilistici, le basi turche e le truppe turche potrebbero essere in prima linea.

L’Iran, – Nonostante il rapporto buono che continua a mantenere con Ankara – ha invece scelto di appoggiare apertamente il governo di Assad. La politica non è (ancora?) cambiata dopo l’elezione del nuovo presidente Rouhani. L’appoggio iraniano è sia diretto, soprattutto politico e finanziario, sia indiretto attraverso Hezbollah. Secondo alcuni analisti, inoltre, ci sarebbero formazioni dei Pasdaran che combattono per Assad. Questa tesi non ha finora trovato conferme definitive. L’Iran, da parte sua, accusa “i terroristi” di aver usato armi chimiche. Secondo il portavoce del parlamento iraniano, Ali Larjani, “i paesi occidentali dovrebbero rispondere su chi ha fornito armi chimiche ai terroristi”. Armi su cui l’Iran aveva dato l’allarme già diversi mesi fa, e proprio agli Usa, secondo quanto ha detto il ministro della difesa Hossein Dehqan ai microfoni di Press TV.

A proposito di missili. L’inconsueto test missilistico israeliano nel Mediterraneo orientale ha fatto scattare l’allarme in tutta la regione. La versione ufficiale parla di un test per mettere alla prova i sistemi di difesa antimissile Hetz, ma c’è il dubbio che invece il lancio servisse a testare le difese siriane. 

di Joseph Zarlingo

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