Stanotte Chiara non riusciva a dormire. Mi ha scritto. Le ho risposto dicendo di provare a riposare. Mi ha risposto. “Ecco l’ansia. Mena è volata via”.
Per quanto era dimagrita, per un istante, l’ho vista davvero come volare. Mena non aveva ancora 30 anni ed era mamma di due bambini. Che mi auguro vadano presto via. Lontano.

Mena aveva un cancro perché viveva in Campania, in quella oramai tragicamente nota “Terra dei fuochi”. Un luogo di vergogna, connivenza e omertà. Dove si muore di rifiuti. Rifiuti tossici bruciati. Rifiuto di ogni forma di civiltà. E le prime pagine continuano ad occuparsi di Berlusconi perché – in nome di un’assenza di dignità solo italiana – qualcuno chiede ancora che gli siano concesse attenuanti. Berlusconi, sia chiaro, non è il responsabile del genocidio campano. Non è il solo responsabile. Lo siamo tutti. Ciascuno a suo modo. Con il silenzio e la connivenza.

La Campania era chiamata “felix”. Gli dei avevano regalato all’uomo un incanto in terra da far invidia al mondo intero. La Campania, e poco a poco l’Italia tutta, andrebbe evacuata. O cambiata. Ma noi italiani siamo annientati dalla convinzione che “non si può cambiare”.  La convinzione peggiore. Il nostro vero cancro. Quello che ne permette e tollera altri.

Mena è morta. La lista si allunga. Nell’indifferenza. Perché è dura ingoiare la realtà che – da anni – Angelo Ferillo, per esempio, coraggiosamente racconta nel suo sito La Terra dei fuochi. Una condanna del nostro voltarci altrove. 

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