“Senza musica il mondo preistorico sarebbe semplicemente troppo silenzioso per risultare credibile”. Queste le bellissime parole che il grande archeologo britannico Steven Mithen sceglie per descrivere il ruolo e l’importanza assoluta che la musica ha avuto (ed ha) nella storia evolutiva dell’uomo. Lo sanno bene i Paesi in cui lo studio di questa disciplina è tenuto in grande considerazione; purtroppo occorre constatare ancora una volta che tra questi l’Italia non c’è!

Se le nazioni più ricche dedicano infatti alla musica risorse e strutture, oggi anche in molte aree poverissime del Sud America esistono programmi (come le orchestre giovanili) dedicati al recupero dei ragazzi disagiati. Si tratta solo di buon cuore, o esiste evidentemente anche una genuina convenienza economica nel finanziare il sapere e le arti? Quella che nel resto del mondo potrebbe sembrare solo una banale domanda retorica, nel nostro paese non lo è affatto. Riecheggia ancora nell’aria il celebre aforisma “Con la cultura non si mangia”. Una frase che se non fosse stata pronunciata da un ex ministro della Repubblica, non meriterebbe neppure una riflessione. Tuttavia, i grandi investimenti in questo settore da parte dei paesi emergenti (Cina e India) sembrano essere la miglior risposta possibile ad una delle affermazioni più stupide (o peggio in malafede) della storia dell’umanità!

È noto che l’Italia possieda un tesoro inestimabile e ahimè poco sfruttato, di opere d’arte, saperi e mestieri. Eppure nella patria di Verdi, Rossini, Puccini (e molti altri ancora) la musica si insegna poco. Proprio noi, che dovremmo fare di quest’arte la nave ammiraglia nell’affrontare le grandi sfide del mondo globalizzato, continuiamo a trattarla come l’ultima delle Cenerentole. Non a caso il Maestro Riccardo Muti afferma in una recente intervista: “L’Italia ha abdicato alla sua storia musicale… Abbiamo perso la capacità di sentire il bello, che per secoli abbiamo dato al mondo”.

Il Ministero della Cultura, che in Italia potrebbe essere il più prestigioso, importante ed ambito di tutti, dovrebbe finanziare generosamente una disciplina che ci rende noti ed amati in tutto il mondo. L’amara realtà però la conosciamo bene. Il primo grande problema è quello legato alle strutture che spesso versano in condizioni pessime: conservatori fatiscenti, aule improvvisate con attrezzature obsolete, scantinati spacciati per laboratori etc.

Non da meno è la questione del personale. In Italia abbiamo certamente ottimi insegnati che però troppo spesso, sottopagati e fiaccati da una burocrazia folle, finiscono col fuggire all’estero o col gettare la spugna in patria. Purtroppo esiste anche una pletora di professori bolliti, assunti negli anni del boom economico, con qualifiche che oggi non sembrano affatto competitive, soprattutto a livello internazionale. Si narra poi di docenti che insegnano strumenti che non suonano più da anni e veri e propri “banditi” che estorcono privatamente montagne di soldi agli studenti che dovranno esaminare a fine corso. Il grande numero di scandali, denunce, dimissioni ed arresti verificatisi in questi anni sono li a testimoniarlo tristemente… Situazioni di questo tipo esisteranno pure in tutto il mondo, ma da noi sembrano essere la regola.

Davvero incomprensibile infine che la musica non venga insegnata obbligatoriamente nelle scuole elementari! Proprio le scuole materne sarebbero la sede ideale per un primo approccio con la materia da parte dei bambini: un incontro giocoso, gioioso e non eccessivamente coercitivo. Interessante notare in tal senso che in lingua inglese, giocare e suonare sono appunto sinonimi e che nei paesi anglosassoni, non a caso, la musica si inizia a studiare prestissimo, in quella fascia d’età in cui il suo apprendimento offre vantaggi strutturali, fondamentali per lo sviluppo del bambino. Sull’argomento esistono centinaia di ottimi testi, la cui lettura dovrebbe farci riflettere seriamente sull’assurdità di una tale voragine didattica nel nostro paese.

Nelle scuole medie infine, si impone lo “studio” del flauto dolce e davvero non si capisce a quale metodo (ammesso che se ne segua uno) si rifaccia il Ministero nel dare tale direttiva didattica ai docenti. In molti licei, l’ora di musica è addirittura alternativa a quella di religione… Accogliamo dunque con gioia l’introduzione dei licei musicali sperando che, supportati da investimenti adeguati, non diventino in fretta la solita frittata all’italiana che unisce il peggio del liceo al peggio del conservatorio.

Ci siano di conforto le parole del Maestro Claudio Abbado, che intervistato a proposito del ruolo “salvifico” che la musica può assumere, dice: “…In Venezuela la musica salva davvero i ragazzi dalla criminalità, dalla prostituzione e dalla droga. Li ho visti, facendo musica insieme trovano se stessi…”. Speriamo dunque, che non volendo noi salvare la musica, sia alla fine proprio lei a salvarci e che la cenerentola delle arti ritrovi presto la sua scarpetta, prima che a noi resti solo una zucca vuota!

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