Trovo interessanti, anche se prevedibili, le reazioni ai miei due precedenti post. Essenzialmente, a parte i soliti insulti degli irriducibili, un buon numero di lettori in sostanza dice: va bene, concediamo che tu abbia ragione sul mito della burocrazia; il vero problema però è un altro.

Una critica un po’ facile, quella di spostare il discorso altrove, ma ci sto. Ovviamente non c’è unanimità su quale sia “il vero problema”. Provo qui a dare alcune risposte a quelle che mi sembrano le hit della classifica dei problemi, veri o presunti. Nota importante: questi argomenti mal si prestano alla brevità di un post. Credo sia però possibile rilevare qui alcuni fatti, sistematicamente ignorati da chi sostiene le tesi sopra riportate.

Presunto Problema 1: la dominazione (franco-)tedesca. Mi pare ovvio che la Germania, o la Francia, come qualunque altro Paese, tentino di imporre la loro visione. I lettori stanno quindi dicendo semplicemente che…ci sono riuscite! Vale quindi la pena di ricordare che, nell’Ue, tutte le regole del gioco (i Trattati) sono scritte all’unanimità: o ci stanno tutti, o niente. E, una volta definite le regole, si gioca a maggioranza qualificata, vale a dire che niente (nessuna legge, per esempio) può passare senza l’appoggio di un nutrito gruppo di Stati. La Germania, da sola o con il solo appoggio francese, in Europa non ha i numeri per decidere nulla, e tantomeno per “imporlo” agli altri.
Se (e dico se) hanno ragione i lettori, mi pare quindi più utile interrogarsi sull’incapacità italiana di creare un consenso diverso e alternativo.
Non voglio negare con questo la contrapposizione di vedute tra un blocco “nordico” di Stati che si considerano “virtuosi” e un blocco “del sud” di Stati considerati “cicala” in difficoltà economica. Però ho dovuto mettere tante virgolette perché ci avviciniamo ai livelli del Bar Sport, e qui mi fermo. L’uscita dalla crisi, a mio modesto avviso, è legata all’uscita da queste semplificazioni nella testa dei cittadini e ancor più in quella dei decisori politici.

Presunto problema 2: l’euro. Non intendo dilungarmi sull’influenza dell’euro sull’economia italiana ed europea, e sulla possibile “soluzione” di un’uscita dalla moneta unica. Come molti lettori rilevano, fior di economisti ne discutono quotidianamente e mi stupisce molto sentir parlare di “pensiero unico pro euro”, mentre in quel poco che leggo trovo una sorta di pensiero unico anti-euro, basato su pochissimi fatti concreti e moltissime congetture. Un’eccezione: Zingales, che giustamente (a mio avviso) invita a chiedersi, prima di proiettare scenari di ritorno alla lira, dove saremmo ora senza l’euro. Già, perché una cosa è certa: se l’euro non fosse mai esistito, la crisi del 2008 sarebbe scoppiata lo stesso, il nostro debito astronomico – così come quello della Grecia – sarebbe comunque entrato nel mirino degli speculatori e, con tutta probabilità, avremmo già fatto default.

Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’euro non è stato la causa scatenante della crisi, e che quindi parlare di “eurocrisi” è scorretto e fuorviante. Prendiamo due esempi:

  1. Il problema di Cipro è (speriamo di poter dire “era”) un settore finanziario e bancario sproporzionato rispetto all’economia nazionale, e sovraesposto ad alcuni paesi. Esattamente lo stesso problema dell’Islanda, che non solo non ha l’euro ma nemmeno fa parte dell’Unione. E in entrambi i casi, il problema era noto da tempo, ma la classe politica ha preferito rimandare decisioni difficili fino a quando era troppo tardi.
  2. Qual è lo Stato UE che ha speso più denaro pubblico per salvare il suo sistema bancario e finanziario? Lo spiega Barroso davanti al Parlamento europeo: il Regno Unito, con la sua solida sterlina.

Ultimo fatto che vorrei sottolineare sul presunto problema euro: l’euro non è un optional, è parte integrante dell’Unione e tutti gli Stati Ue sono chiamati, appena rispettino le condizioni, ad adottarlo (tranne chi ha ottenuto un opt-out, come il Regno Unito). In parole povere: un referendum per uscire dall’euro è un non-senso: o si esce dall’Ue, e quindi anche dal mercato interno e da tutte le altre politiche comuni, o si negozia un opt-out. Entrambe opzioni piuttosto difficili, e infatti gli economisti pro-exit preferiscono soprassedere su questi aspetti, a mio avviso non secondari, del problema.

Insomma, ci sono partiti e movimenti che hanno preso i vostri voti promettendo cose impossibili. E ci sono valanghe di articoli, editoriali, opinionisti che parlano di euro a prescindere dalla situazione giuridica e politica attuale. Sarebbe un enorme passo avanti se, parlando dell’euro e nel rispetto di tutte le opinioni, si integrasse il semplice concetto che in tutto questo processo non siamo soli, e non possiamo ignorare le regole che abbiamo sottoscritto.

Presunto problema 3: l’UE non è democratica. Qui i lettori sono appena più clementi di Nigel Farage, leader carismatico degli euroscettici britannici, che sostiene che l’UE è anti-democratica. Vale la pena di guardare e ascoltare alcuni suoi interventi (per esempio qui, ospite della TV finlandese, o qui, in un vecchio intervento in cui parla anche di noi). Oratore molto efficace, riuscirebbe quasi a convincere anche me, se soltanto quel che dice non si basasse su presupposti del tutto falsi:

  1. L’UE non funziona per niente come Farage pretende di far credere (e come molti tuttora credono). Queste cose dovrebbero insegnarle a scuola, ma per chi vuole informarsi rapidamente consiglio il sito dell’UE o un video dei Presidenti delle Istituzioni su YouTube (potete mettere i sottotitoli in italiano). Punto fondamentale: la Commissione non adotta nessuna legge! Quello che Farage chiama “governo europeo non eletto”, attribuendogli funzioni legislative da sovrano assoluto e quindi confondendo i poteri democratici, in realtà ha diritto di proporre le leggi europee, che poi però possono diventare tali solo con l’accordo degli Stati Membri (il Consiglio dell’UE, formato dai Ministri nazionali) e del Parlamento europeo (direttamente eletto dai cittadini). La Commissione poi non è per nulla “irremovibile”, ma può essere sfiduciata dal Parlamento europeo – come qualunque governo nazionale. 
     
  2. Nessun governo è stato “rimosso” dall’UE: quando, nel mezzo della crisi, dei governi sono saltati, sono stati i Parlamenti nazionali a togliere loro la fiducia, e i cittadini a eleggere nuovi Parlamenti, che poi hanno nominato nuovi governi. E’ successo cioè quello che Farage rivendica per il suo Regno Unito, la possibilità di sceglier e rimuovere i propri leader, e che l’UE non gli ha mai tolto né mai gli toglierà.
     
  3. Se la famigerata “Troika” è come il fumo negli occhi per molti, all’interno della Troika la Commissione ha finito per diventare un comodo parafulmine. Non ci vorrebbe (se l’informazione fosse corretta) una laurea in economia per capire che i bail out costano molti soldi, e che la Commissione quei soldi non li ha (vedi il mio ultimo post: con l’1% del PIL europeo non si salva nemmeno la Lettonia). Dietro il parafulmine ci sono gli Stati, con i loro pingui bilanci nazionali, ma troppo numerosi e protetti dai media nazionali per essere chiamati a rispondere delle accuse alla Farage. L’IMF poi nessuno capisce cosa sia. Meglio prendersela con la Commissione, e con i Commissari “non eletti”.

Mi fermo qui, alla top 3. Non dubito che alcuni risponderanno che i problemi sono ancora altri. A mio avviso, i problemi ci sono eccome, e ne ho parlato in precedenza. Oggi mi pare che il problema fondamentale sia lo smantellamento alla base dei principi fondatori dell’UE, anche attraverso la polarizzazione dell’opinione pubblica e il ritorno, preoccupante, dei complessi di superiorità nazionali (attenzione: non mi riferisco solo a uno Stato). Ma questa è un’altra Storia.

Disclaimer: Come riportato nella bio, il contenuto di questo e degli altri articoli del mio blog è frutto di opinioni personali e non impegna in alcun modo la Commissione europea.

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