Il ministro Giovannini ha scoperto ciò che era noto a chiunque avesse voglia di pensare e cioè che un intervento sulle pensioni così dette “d’oro” è sostanzialmente inutile ai fini del bilancio dello stato. Che maltrattare -anche in misura avida – la previdenza dei redditi più elevati fosse un “brodino caldo” per il bilancio dell’Inps, data l’esiguità del numero di pensionati con trattamenti superiori a 90.000 euro lordi annui è chiaro come il sole anche a un bambino del pre-scuola e non stupisce che ci sia arrivato anche il ministro. Sarebbe stato auspicabile anche un passo successivo e cioè la precisazione che le pensioni più elevate non sono affatto tutte uguali tra loro in termini di come sono state maturate e che ce ne sono parecchie (tutte quelle dei lavoratori dipendenti) che pur essendo elevate non riusciranno mai a restituire i contributi che nella vita lavorativa i dipendenti sono stati costretti a versare all’Inps. Questa precisazione che avrebbe quantomeno doverosamente chiarito come esistano anche pensionati “d’oro” che anziché avere ricevuto regali dall’Inps finanziano invece con i loro contributi passati pensioni di importo più basso, magari non d’oro e neppure d’argento o di rame, ma comunque superiori agli importi che avrebbero sulla base dei contributi versati, non c’è stata. Anzi, Giovannini ha spiegato che essendo un intervento sulle pensioni “d’oro” ininfluente, bisognerà mettere mano anche a quelle “d’argento” e oltre e che i suoi tecnici sono al lavoro per studiare un sistema che regga alle obiezioni della Corte costituzionale che già una volta ha bocciato una norma considerata vessatoria verso una specifica categoria; nelle sue parole non si trova invece alcun riferimento al rapporto contributi-pensione che dovrebbe essere invece la pietra fondante di un sistema previdenziale serio.

Ricapitolando: Ci sono pensioni non commisurate ai contributi versati; alcune  ricevono importi più alti dei contributi versati, tra queste alcune molto basse – le minime – altre di media entità – le pensioni retributive maturate a fronte di redditi medio/bassi  che garantivano un assegno pari all’80% della retribuzione media degli ultimi dieci anni di lavoro – altre ancora elevate – pensioni il cui importo non si basa sulla contribuzione, quali ad esempio quelle dei parlamentari o di altre categorie privilegiate. Ci sono poi pensioni che ricevono importi più bassi dei contributi versati e sono tipicamente quelle elevate dei lavoratori dipendenti, per i quali l’assegno si allinea intorno al 65% della retribuzione media degli ultimi dieci anni di lavoro; per questi il calcolo contributivo sarebbe stato più favorevole ma non hanno potuto accedervi.

In questo panorama, in barba a qualsiasi ragionamento di onestà intellettuale e di equità previdenziale, si cercano metodi per penalizzare ulteriormente le pensioni che già finanziano il sistema.

Quel che è peggio poi, ma in linea con quanto di male fatto dai predecessori di Giovannini in tema di comunicazioni sociali veritiere e dirette, è che intenzioni puramente demagogiche e inique vengano propagandate con accompagnamento di cori di cherubini e spacciate per capolavori di onestà politica; ci vorrebbero far credere che sia all’opera un novello Robin Hood quando in realtà non ci si sta affatto ispirando a principi di buona gestione previdenziale, né di equità e neppure di buon senso.

Eppure la Corte Costituzionale ha già chiarito che la nostra Costituzione prevede che i cittadini partecipino solidalmente attraverso un prelievo quantitativo sul loro reddito tramite un sistema fiscale progressivo e che non si debbano trattare i redditi in modo qualitativamente diverso in funzione che derivino da lavoro attivo o da una pensione percepita a fronte di oneste e laute contribuzioni. Già, le sentenze si rispettano; probabilmente solo quelle che piacciono, se è vero come è vero che in questo caso si sta studiando il modo di aggirarle e non si ha pudore nel dirlo chiaramente. Il sottosegretario Dell’Aringa si è spinto fino allo sforzo immaginativo di bloccare per una decina di anni l’indicizzazione delle pensioni medio/alte in modo da ridurle di un buon 25% in termini reali; questo consentirebbe di mettere al riparo l’esproprio dai fulmini della Corte Costituzionale; idea geniale, ma alquanto malsana, dato che neppure in questo caso si fa accenno al come le pensioni siano state costruite nel tempo.

L’analisi delle pensioni “d’oro” da un punto di vista rigorosamente previdenziale richiederebbe valutazioni accurate quasi caso per caso, che portino a conclusioni mirate, eque e non demagogiche; le esternazioni estive nelle quali si mescolano interventi di esproprio e ipotesi di aggiramento della Corte Costituzionale con misure sacrosante e colpevolmente in ritardo come la salvaguardia di tutti gli esodati servono forse a far digerire le prime attraverso la blandizia delle seconde, ma danno l’idea della superficiale assenza della volontà di guardare una volta per tutte alla previdenza come a un sistema nel quale l’importante sia prima di tutto la corrispondenza di massima tra i contributi versati e la pensione percepita e che non sia considerato come un universo dal quale attingere a piacimento risorse di solidarietà che non si chiedono ad altri redditi.

Troppo difficile?

Articolo Precedente

La ‘generazione Erasmus’ sogna Google e teme di mettersi in proprio

next
Articolo Successivo

Milano, i lavoratori tornano dalle ferie e trovano la fabbrica chiusa

next