Unipol cammina e camminerà con una dolorosa spina nel fianco. E non è Fondiaria Sai. La divisione bancaria del gruppo, Unipol banca, ha chiuso i primi sei mesi dell’anno con 66 milioni di perdite prima delle imposte e se le cose non cambiano è verosimile che si tratti solo dell’antipasto di una lunga serie di “rossi”. I problemi infatti sono altri e più gravi.

I crediti deteriorati della banca (ossia quei prestiti concessi dalla banca che non saranno rimborsati o lo saranno solo in parte al termine di una lunga trafila giudiziaria) hanno raggiunto i 2,3 miliardi di euro, vale a dire il 23% del totale. In pratica su 100 euro prestati dall’istituto 23 rischiano di andare persi. E’ un’incidenza molto alta (e in crescita) che si confronta con un valore medio del sistema bancario italiano che Bankitalia colloca tra il 12 e il 14%. La Banca d’Italia insiste molto sulla necessità di riconoscere pienamente a bilancio queste perdite e di accantonare adeguate risorse per farvi fronte. E anche da questo punto di vista i numeri di Unipol banca non sono incoraggianti.

Il cosiddetto tasso di copertura, ossia le predite sui crediti dubbi già contabilizzate, si fermano al 21,2% del totale a fronte di valori vicini al 40% per le banche più virtuose. Significa che per allinearsi a questi livelli la banca dovrebbe caricare i suoi bilanci di altri 400 milioni di accantonamenti (leggi perdite). Un’operazione che andrebbe a pesare su un patrimonio netto che a fine 2012 si fermava a 928 milioni di euro. Patrimonio che, a prescindere dalle nuove svalutazioni, dovrebbe già essere rafforzato per raggiungere i livelli richiesti dagli accordi di Basilea che mirano a migliorare la solidità patrimoniale (e la sicurezza) degli istituti bancari. Servono insomma soldi freschi, e non pochi, che il gruppo Unipol dovrà in qualche modo reperire per procedere ad una ricapitalizzazione.

Ci sono due ragioni che dovrebbero spingere Unipol banca a prestare estrema attenzione alle potenziali perdite su crediti. La prima è che la banca è fortemente esposta sul settore immobiliare. Sui quasi 10 miliardi di finanziamenti in essere quasi 8 miliardi sono costituiti da mutui e prestiti. Parte di questi prestiti sono stati cartolarizzati (in pratica rivenduti sotto forma di obbligazioni i cui interessi sono finanziati con il pagamento delle rate) e dunque il rischio è stato trasferito altrove. Sono stati stipulati accordi di assicurazione sul rischio. Ma in un mercato del mattone che continua a sprofondare e con una disoccupazione (principale fattore di rischio per chi concede mutui) in crescita è lecito attendersi altre brutte sorprese da questi prestiti.

La seconda ragione è che i finanziamenti erogati dalla banca presentano un alto livello di concentrazione. A fine 2012 quasi 750 milioni dei crediti a rischio (1/3 del totale) faceva capo ad appena 18 soggetti. Tanti soldi prestati a pochi soggetti. Un elemento che, come è evidente in questo caso, fa crescere il livello del rischio che sopporta il creditore. Qualche motivo di preoccupazione arriva infine anche da altri indicatori. In particolare dalla raccolta presso la clientela (sostanzialmente i depositi) scesa nei primi sei mesi del 2013 da 8,1 a 7,8 miliardi (-2,9%), da un margine di intermediazione (i ricavi che fa la banca prestando a un tasso più alto rispetto a quello che paga ai depositanti) sceso da 190 a 158 milioni di euro e da un rapporto tra costi e ricavi salito dal 71 al 78%, un livello davvero elevato.

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