Chi è davvero Giovanni Senzani? Fu davvero un rivoluzionario che combatteva per idee giuste, in tempi sbagliati o dalla parte sbagliata, e cioè le Brigate rosse poi  sconfitte dalla Storia? O non invece il contrario, un controrivoluzionario, uno spregiudicato e sanguinario avventuriero al servizio di vari poteri, come tutta la sua biografia induce a pensare? Il film “Sangue” di Pippo Delbono, presentato in questi giorni a Locarno, ha provocato un aspro dibattito sul diritto degli ex terroristi a raccontare la propria storia in termini celebrativi, giustificazionisti, in una sorta di postumo fiancheggiamento che può indurre i giovani a farsi un’idea distorta del terrorismo e dei lutti che si è lasciato alle spalle. Ma, trattandosi di Senzani, non credo sia questo il nodo più interessante. Molti hanno accennato alla storia ambigua di questo capo Br, anche il procuratore Giancarlo Caselli, credo non ci sia modo migliore per stroncare improbabili tentativi di riabilitazione che ricordare chi era davvero Senzani. Anche per distinguere fra chi, pur sbagliando, ha creduto nella “rivoluzione” e chi invece pescava nel torbido facendosi scudo della “lotta armata”.

Nel film, sembra che Senzani si eserciti in una sciagurata lezioncina su come i “movimenti rivoluzionari” debbano trattare i traditori. Non stupisce, ha sempre fatto il professore anche quando divideva la cella con Ali Agca e molti sospettano che, oltre a insegnargli l’italiano, abbia impartito al Turco anche qualche lezione sulla pista bulgara. Quello che stupisce è perché mai soltanto oggi, a 71 anni, dopo aver scontato per lo più agli arresti domiciliari una lunga pena, questo ex brigatista che è tra i pochi a non aver mai parlato, né dentro né fuori le aule giudiziarie, abbia deciso di uscire allo scoperto rivendicando in modo provocatorio una delle pagine più oscure delle Brigate rosse. E che per giunta lo abbia fatto in modo tanto rozzo e truculento da far torto a chi gli attribuisce un’intelligenza fine.

Il film racconta la spietata esecuzione di Roberto Peci, fratello di Patrizio primo pentito delle Br, ucciso il 3 agosto 1981 con 11 colpi di pistola dopo 53 giorni di prigionia in una cava abbandonata sulla via Appia, lo stesso numero di giorni che Moro trascorse nel carcere del popolo. Roberto era un ragazzo di 24 anni, non faceva parte delle Br, aspettava una figlia che non ha mai conosciuto, il suo unico torto era non aver rinnegato il fratello che ogni tanto incontrava. Qualcuno lesse in questa vendetta trasversale, in perfetto stile mafioso, un messaggio al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, cui era stata riaffidata la gestione dell’antiterrorismo e che stava scavando tra i segreti del sequestro Moro. 

Molti segreti riguardavano proprio lui, Senzani, sospettato di aver gestito l’interrogatorio di Moro nel carcere del Popolo, o perlomeno di aver fornito a Moretti le domande da porre al presidente Dc. Ma non fu mai condannato, a salvarlo fu una provvidenziale informativa del Sismi su un suo presunto viaggio in America nella primavera 1978, ampiamente smentita da telefonate intercorse tra Senzani e un medico genovese nello stesso periodo. Criminologo di un certo talento, fu consulente del ministero di Grazia e Giustizia e grazie a una specializzazione presa a Berkeley ottenne incarichi nelle università di Firenze e Siena. A Roma, negli anni Settanta abitava in un appartamento di via della Vite che divideva con un informatore dei servizi segreti. 

Un consulente tanto speciale da far dire al pm di Firenze Tindari Baglioni: ”Con il Senzani noi e le Br avevamo lo stesso consulente”. La sua era una doppia vita, per il Ministero interpretava il linguaggio dei comunicati e analizzava le future mosse dei brigatisti, alle Br forniva informazioni  e sulle carceri speciali e su magistrati come Palma, Tartaglione e Minervini caduti sotto il piombo brigatista. La “talpa” di via Arenula, scrivevano i giornali. Sappiamo che aderì alla colonna genovese delle Br più o meno a metà degli anni Settanta, ma il suo ruolo emerse soltanto dopo l’arresto di Mario Moretti e di Enrico Fenzi, suo cognato. La sua prima iniziativa fu spaccare le Brigate Rosse, fondò “il Fronte delle carceri”, dove confluirono anche molti camorristi, cosa che si rivelò utile durante il sequestro Cirillo che a lui fruttò 500 milioni, all’epoca cifra considerevole, depositati in una banca in Svizzera. 

Fu arrestato a Roma, il 13 gennaio 1982, nel covo di via Ughetti sulla Tiburtina dove furono trovate tracce di suoi frequenti viaggi a Parigi nella misteriosa sede dell’Hiperiòn. Con lui fu arrestato anche, Roberto Buzzati, 19 anni, che nel giro di poche ore vuotò il sacco e raccontò di incontri alla stazione di Ascoli Piceno con un generale dei servizi segreti reduce da incontri con il camorrista Cutolo. Ma poi il giovane si spaventò e ritrattò tutto, Senzani e il generale furono ugualmente condannati. Storie del secolo scorso che, se davvero vogliamo riesumare, facciamolo raccontando la verità.

 

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