Dai bambini andiamo al cinema! “nessuna risposta, continuano imperterriti a giocare come affetti da sordità. “Vestitevi, oggi andiamo al cinema, al circo, al museo, alla festa, al lunapark a sciare, pattinare, passeggiare, nuotare”. La risposta non tarda: “Non vorrei”.   

Ed è questo condizionale, su cui mi sono tanto accanita per combattere la arcinota erba del giardino del re, che mi manda ancora più in bestia. Questa cortesia/ipocrisia a cui li ho abituati che ora mi si ritorce contro. Per smorzare qualunque mio entusiasmo, qualunque progetto o idea per stare insieme.   

Un mio amico diceva che l’uomo è un animale pigro e abitudinario. Non so se valga per tutta la specie, ma senz’altro per i miei bambini. Non c’è nessuna proposta di novità o minima variazione, dal cibo al circo, che non venga salutata con sospetto e poi, possibilmente, declinata. Che fare? “Accettare di mangiare pasta al pesto e polpette per 45 anni”, direbbe la nonna. E poi rassegnarsi: ciascuno ha i suoi gusti, le sue preferenze; i bambini non vanno forzati, come è scritto in qualunque libro di pedagogia infantile, mi ricorda Marta.   

Ma a sviarmi è una bellissima parola tedesca: sehensucht. Quella nostalgia che è un cercare di vedere, di rivedere, almeno nel pensiero. Ma se questo sentimento può sconfinare in una percezione esistenziale, panica, per così dire, è anche vero che è difficile provare la dolcezza del rivedere (almeno nel ricordo e nella memoria) se non si è mai conosciuto. Come faranno i miei bambini ad avere da grandi “sehnsucht” per le gite nel silenzio delle montagne, se quel giorno avevano preferito fare un solitario a casa? Come ricorderanno i pomeriggi di natale nel cinema di periferia con i popcorn se io quel giorno ho applicato diligentemente la regola del rispetto prescritta dai manuali?   

“E così la strega cattiva….”, e ciaff, caccio in acqua il piccolo Luca, sbigottito, aggrappato alla riva come una patella. Batto le mani e mi complimento per il bel tuffo per dissimulare la sottile punta di nazismo che accompagna i miei gesti. Mi è toccato fare così ogni volta anche in quelli che poi sono diventati momenti indimenticabili della nostra vita insieme.   

Marta impugna il telefonino. Che cerchi il numero del Telefono Azzurro?

il Fatto Quotidiano, 5 Agosto 2013

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