Giornata di coincidenze per i campioni delle poltrone pubbliche quella di venerdì 9 agosto. Con una mano, infatti, lo Stato ha approvato il dl del Fare, incluso il taglio degli stipendi dei manager delle sue società non incluse nel Salva Italia. Ma la norma non sarà legge prima della pubblicazione in Gazzetta. Con l’altra ha invece rinnovato una terna di consigli di amministrazione di società pubbliche chiave: Anas, Ferrovie dello Stato e l’Agenzia per l’attrazione degli investimenti, Invitalia. Tutte e tre finora guidate da manager in passato piuttosto ben pagati, mentre sul futuro regnano ancora l’equivoco e il dubbio.

Eppure l’argomento è piuttosto spinoso, come testimonia lo strappo governo-Senato dei giorni scorsi. Ma del resto non se n’è curato neppure un rappresentante dell’esecutivo del calibro del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, che si è invece affrettato ad esprimere le sue ”congratulazioni a Pietro Ciucci, Mauro Moretti e Lamberto Cardia per la conferma alla guida di Anas e Ferrovie dello Stato Italiane. Si tratta di due aziende strategiche per gli investimenti infrastrutturali del Paese con una particolare attenzione al trasporto pubblico locale e alla liberalizzazione dei servizi”. Ma anche due aziende decisamente fuori misura rispetto al tetto dei compensi dei manager fissato in 300mila euro.

A partire dalle Ferrovie che sono senz’altro nel cono d’ombra tra le due normative, visto che hanno emesso strumenti finanziari quotati diversi dalle azioni (bond), rientrando così nelle eccezioni del tetto per gli stipendi dei vertici introdotto dal governo Monti. Lo sa bene Mauro Moretti che è stato riconfermato alla guida del gruppo ferroviario pubblico insieme al presidente Lamberto Cardia, già criticato numero uno della Consob ai tempi del crac Parmalat e noto ai più per le consulenze del figlio Marco alla FonSai dei Ligresti sulla quale avrebbe dovuto vigilare proprio negli anni di cui si sta occupando la Procura di Torino. E se di Cardia (300mila euro l’anno) fa storcere il naso l’opportunità della riconferma anche alla luce della veneranda età di 79 anni, ben diverso è il dicorso dell’amministratore delegato. Stando al bilancio 2011 del suo gruppo, Moretti percepisce infatti un compenso annuo di 873mila euro tra parti fisse e variabili degli stipendi da amministratore e di quelli da dirigente. Alla somma, poi, va aggiunto un bonus fino a 300mila euro legato ai risultati 2010-12.

Non molto distante il compenso di Ciucci, dominus incontrastato dell’Anas dal lontano 2006, che nell’ultimo triennio si è portato a casa una somma vicina a 700mila euro l’anno, come notava il senatore Marco Filippi (Pd), in una recente interrogazione ai ministri dell’Economia e delle finanze e delle Infrastrutture e dei trasporti, nella quale si puntava il dito proprio contro i risultati della sua gestione della società che ha in mano la rete stradale e autostradale italiana di interesse nazionale. Senza contare la richiesta della Corte dei Conti allo stesso Ciucci e altre 18 persone di un risarcimento da 40 milioni di euro per danno erariale.

Discussa anche la riconferma dei vertici di Invitalia, sostenuta tra gli altri dal vicepresidente del gruppo Pdl al Senato, Paolo Romani. “La scelta odierna dell’assemblea di Invitalia di riconfermare i vertici dell’azienda è all’insegna della continuità e del riconoscimento del valore e delle capacità di due persone, Domenico Arcuri, ad, e Giancarlo Innocenzi Botti, presidente, che hanno reso Invitalia un efficiente ed articolato strumento di crescita e sviluppo per le imprese e per il Paese”, ha dichiarato Romani che in veste di ministro per lo Sviluppo economico dell’ultimo governo Berlusconi aveva affidato proprio a Invitalia la selezione dei “cavalieri bianchi” (con annessi aiuti pubblici) per l’impianto Fiat di Termini Imerese. Risultato? Un fiasco via l’altro, mentre gli operai della Fiat ancora non sanno di che morte dovranno morire.

Eppure Romani ha parlato di un’Agenzia che “declina la propria attività, su mandato dell’esecutivo, fra politiche industriali e di coesione, attrazione di investimenti esteri, crescita e occupazione, con particolare riguardo alle aree deboli del Paese”. E intanto Arcuri si è portato a casa uno stipendio da far invidia a Ciucci. L’ultimo dato disponibile sono i 792mila euro del 2011, di cui 175mila euro come emolumento, 361mila come compenso fisso e 254mila come compenso variabile. Proprio mentre il conto economico del gruppo ha registrato un costante rosso che dal 2008 al 2011 è più che raddoppiato passando da 2,89 a 5,9 milioni di euro. Non è dato di sapere com’è andata nel 2012:  la società che non brilla certo per trasparenza, nella nota che ha annunciato l’approvazione dei conti e il rinnovo del cda si è limitata a parlare di “un risultato economico positivo” aggiungendo che si tratterebbe del “sesto anno consecutivo”. Anche se i bilanci già stigmatizzati dalla Corte dei Conti dicono esattamente il contrario.

Non solo. “La scelta di continuità operata dal governo consentirà ad Invitalia ed alle società del Gruppo di proseguire con rinnovato slancio nell’attuazione della mission affidata dall’esecutivo all’Agenzia e finalizzata all’attuazione delle politiche industriali e di coesione, all’attrazione di investimenti esteri, alla crescita e all’occupazione, con particolare riguardo alle aree deboli del Paese”, ha aggiunto Invitalia nella nota rieccheggiata poi da Romani. Non più tardi di due giorni prima i deputati del Partito democratico, Ernesto Magorno e David Ermini, lamentavano invece il fatto che “i risultati finanziari di Invitalia non possono dirsi per nulla positivi, tanto che il governo ha istituito di recente una task force con gli stessi compiti di Invitalia, ovvero attrarre investimenti dall’estero”.

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