Regola numero uno delle vacanze che ormai ci riduce tutti a pesci nella rete: procurarsi almeno un’esperienza sensorialmente soddisfacente.

Regola numero due: siate fieri di appartenere alla categoria degli imbucati (Marcel Proust nella sua ‘Recherche’ fece delle demi mondaines – ancora non ammesse nei salotti dell’aristocrazia ancien régime, ma ambivano a farci parte, una figura letteraria).

Guai se non ce ne fossero alle feste d’estate. Senza imbucati e scrocco/chic party i luoghi sarebbero così noiosi e prevedibili.

Ed ecco che mi sono imbucata a Li Galli, la reggia sul mare di Rudolf Nureyev, sospesa tra la costa di Amalfi e Capri, passata poi di mano all’imprenditore sorrentino Giovanni Russo, già proprietario del Sorrento Palace Hilton. Con sfacciataggine da compaesana mi sono trascinata dietro una carovana di amici americani (loro la crisi se la sono lasciata alle spalle, dunque tornano a farsi vedere dalle nostre parti e gli operatori del settore gongolano). Ci inerpichiamo per il piccolo sentiero d’accesso e mi aspetto che da un momento all’altro spunti un cane mastino dai denti aguzzi. Invece, ci viene incontro un guardiano dai modi gentile. Ci chiede chi siamo. Farfuglio qualcosa: “Siamo amici di… mi manda il solito Picone…”. Mi interrompe e mi dice che va a riferire il mio messaggio al patron. Ritorna qualche minuto dopo e ci invita ad accomodarci in terrazza. Gli americani, abituati ai noiosi Hamptons e alla ultracafonal Palm Beach, duettano un coro di meraviglia: “I wow! I divine”. Il panorama è da mozzare il fiato: una cornice di isolotti che il mito ci ha tramandato abitati dalle sirene che con il loro canto ammaliarono Ulisse, sullo sfondo i Faraglioni, in mezzo un mare azzurro che più azzurro non si può. Entro nel salone maiolicato, mi affaccio dall’altro balcone. Positano è ai miei piedi.

Una bella ‘guagliona’ mollemente adagiata sul divano del salone gioca con il suo iPad. Incurante della bellezza del rifugio delle ninfee cerca disperatamente campo. Appartiene alla generazione degli incontentabili ‘ho tutto, ma voglio di più’. I miei pensieri alla deriva sono interrotti da una limonata ghiacciata servita sotto un pergolato di boungaville.

E penso a quante lune sono passate da quando venivo a Li Galli. Li affittava mio cugino, Giampiero del Tufo, per la caccia di uccelli migratori. Il fascino è rimasto intatto, verace, di quando l’isola apparteneva a Massine, coreografo russo e maestro di Nureyev, che poi la vendette al suo discepolo. Nella vecchia torre d’avvistamento tutto è rimasto com’era: dalla stanza da ballo con le sbarre, Nureyev si proiettava verso l’infinito.

Arriva Giovanni Russo, occhio blu e capello argentato, abbronzatura da lupo di mare e fascino del grande seduttore. Sull’isola accoglie il mondo intero, magnati e principi. Anche Williams, il futuro re d’Inghilterra, è stato ricevuto alla sua corte. Giovanni non ha bisogno di spostarsi da lì per avere uno sguardo cosmopolita aperto su nuovi orizzonti che vanno al di là della meraviglia sotto i suoi occhi. Ma l’anfitrione minimizza, lui preferisce mantenere il low profile e preservare ‘comme il faut’ la bellezza di questo palcoscenico naturale. Nessuno di noi, compreso chi scrive, si è presentato al padrone di casa. Nel caso fossimo stati cacciati era meglio lasciare meno tracce possibili del nostro passaggio. Invece Giovanni Russo è l’essenza dell’ospitalità. Invita gli americani a fare il bagno nella infinity pool scavata nella roccia. Ci chiede di restare per lunch, pescato del giorno, ricciole e pezzogne, e pomodori cuor di bue coltivati nel suo orto. Insiste che ritorniamo il giorno dopo. Ma agli scrocco chic è rimasto ancora un briciolo di dignità. Declinano l’invito, ringraziano e salutano. Uno di loro gli allunga il suo biglietto da visita e dice: “Very nice meeting you. David Koch”. Professione petroliere. Classificato, fra gli uomini più liquidi del mondo. Mica pizza e fichi.

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