Nei post precedenti ho sostenuto che il passaggio da una fornitura centralizzata di energia a una produzione diffusa e decarbonizzata, passa assai più dall’organizzazione sociale, dal minor consumo, dagli stili di vita, che non dai progressi – pur indispensabili – della tecnologia. Quella del decentramento a basso impatto ambientale sarà la direzione che prenderà il settore, già oggi in fase di profonda ristrutturazione. Si è aperta una transizione energetica di portata storica e i nostri comportamenti, così come quelli degli amministratori, dei responsabili della politica industriale e dell’organizzazione dei servizi, possono radicalmente influenzare la rincorsa affannosa delle lobby energetiche a stabilizzare e perpetrare il sistema attuale. L’opinione pubblica è male informata di quel che sta avvenendo da noi e nel mondo e vale la pena qui di riassumere alcuni tratti salienti del mutamento già in atto.

Il trend di fondo riguarda l’accentuata crescita del ricorso a fonti rinnovabili (sempre più vicine alla convenienza economica), l’incentivazione di una politica per il risparmio, l’accertamento di una scarsa opportunità per il sequestro di CO2 da carbone e l’ostacolo insuperabile della sicurezza e del trattamento delle scorie per il nucleare. Il gas, nelle sue versioni tradizionali e da scisto (shale gas), entra in gioco nel presente ma a mio parere nel lungo periodo non riuscirà a determinare l’esito dello scontro decisivo tra atomo (centralizzazione) e sole (decentramento).

a) Il carbone

Dopo la storica decisione della Banca Mondiale di limitare i finanziamenti per le centrali elettriche a carbone, la Banca europea per gli investimenti (BEI), il più grande istituto finanziario pubblico del mondo, si è impegnata a eliminare i finanziamenti per centrali a carbone. Evidentemente, questo combustibile è strategico solo se nei costi di produzione non si computa il danno ambientale e alla salute.

b) Il nucleare è finito?

Nell’attesa di un rilancio del nucleare (in Italia è stato sconfitto dal referendum ma Abe ha vinto proprio ora le elezioni giapponesi rinnegando lo scandalo di Fukushima,), gli ex satelliti sovietici ampliano la loro quota di nucleare, mentre l’area attorno al Mediterraneo, gli Emirati e gli stati centrafricani sono in continue trattative per i progetti francesi di Areva e dei nippo-americani di Hitachi e General Electric. ENEL, con l’approvazione di ministri e manager da loro nominati, si esercita nei posti più ospitali dell’UE, forse in attesa di un ritorno in patria. Negli Stati Uniti si è prolungata la vita delle centrali. In Francia Hollande sfuma ulteriormente le timide promesse elettorali. La Cina rafforza i legami con le aziende francesi e coreane e prevede entro il 2025 ben 150 reattori. Gli stress test dopo Fukushima non hanno imposto restrizioni per le centrali in esercizio. In definitiva, per i governi dell’OCSE l’atomo rimane comunque legato alle prospettive di crescita, anche se è contrastato dal basso ed economicamente oneroso.

c) Il solare

Il futuro del sole non si gioca più sui costi di produzione (soprattutto pannelli), ma sullo spostamento di risorse più a valle in sviluppo, gestione dei progetti, ingegnerizzazione dei sistemi e servizi agli utenti. L’ambizione sta nella riorganizzazione del sistema, a partire dalla necessità di una nuova architettura di rete. Per questo è nata una collaborazione congiunta tra Europa, Stati Uniti e Asia. La Cina ha deciso l’apertura del mercato interno e fornirà sostegno del credito alle aziende locali produttrici di pannelli e incoraggerà la ristrutturazione e gli investimenti all’estero. Offrirà anche agevolazioni fiscali alle aziende solari che acquisiscono altre, si fondono o riorganizzano le loro attività.

In gran parte del pianeta e in particolare in Italia, il fotovoltaico rimane l’unica fonte che senza incentivi potrebbe continuare a svilupparsi (e questo dimostra come gli incentivi abbiano “funzionato”), ma servono normative favorevoli. Si tratta di consentire un contratto diretto di fornitura di energia elettrica tra un produttore e un cliente finale, senza passare dalla rete elettrica nazionale. Come ha scritto il Politecnico di Milano, “nel caso di impianti di piccola taglia (20 kW), installati su aree condominiali, con i livelli di costo attuali, potrebbe essere raggiunto un rendimento superiore al 6%, a partire dalle Regioni del Centro e al Sud del Paese”.

d) Shale gas e rinnovabili

Il settore del gas punta ad un rapporto simbiotico tra shale gas e rinnovabili. Il gas verrebbe così  “sdoganato” come un combustibile di transizione verso un mondo decarbonizzato. Il gas fornirebbe un’abbondante fonte di energia da utilizzare, mentre le energie rinnovabili continueranno a guadagnare in competitività. E rimarrebbe come complemento flessibile per compensare la discontinuità residua del sistema.

e) Corporation e municipalizzate dell’energia

Per anni, le società elettriche hanno guardato con diffidenza lo spuntare dei pannelli solari sui tetti. Ora, come scrive il New York Times del 27 luglio, “sono in preda al panico e stanno combattendo duramente per rallentarne la diffusione”. Il tentativo di screditare i sussidi alle rinnovabili non esiste solo da noi: è ispirato dalle multinazionali dell’energia in tutto il mondo (durissimo, secondo il NY Times l’attacco agli incentivi in Arizona, North Carolina e California). Al contrario, le aziende di servizi pubblici in Germania, negli USA, in Svizzera e Belgio si stanno muovendo per ripristinare gli incentivi governativi per promuovere l’energia solare e altre fonti di energia rinnovabili. La posta in gioco è il governo futuro dell’offerta su basi condivise e finalizzate alla qualità della vita.

La battaglia e i suoi esiti, su scala globale, non si stanno giocando ad armi pari. Sono in campo i dirigenti delle multinazionali, le banche finanziatrici, i legislatori nazionali spesso proni rispetto ai regolatori che siedono nelle “istituzioni” della globalizzazione. Importante è esserne coscienti e interpretare ciascuno la propria parte per far rientrare in gioco una sovranità disattesa: quella di cittadini che si fanno carico di figli e nipoti.

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