Sono stato di recente ad un divertente  matrimonio che mi ha riportato a rileggere con gusto la ’Intervista sull’Identità’ di Z. Bauman, il sociologo della ‘Società Liquida’.

Gli sposi (rito civile) erano di nazionalità diverse, entrambi ‘in transito’ tra vari paesi e città europee, con più figli ciascuno nati dal rapporto/matrimonio precedente. Tra gli amici, nonostante la cerimonia fosse per pochissimi intimi, 5 nazionalità all’appello, Italia, Spagna, Usa, Germania e Croazia. Buona parte dei figli, misti.

Fluido anche l’orientamento sessuale dei presenti, gay il testimone della sposa, e residente anche lui in terra straniera (alla fine della cerimonia ‘colpito’ dal bouquet di fiori della sposa); accompagnato dal suo compagno –  della stessa nazionalità ma che vive in altra città europea, con cui sperano di potersi sposare prima possibile.

La dimensione liquida fluiva poi anche sul lato ‘amicale’, con la prima moglie dello sposo ora sua testimone; la seconda compagna dello sposo testimone della sposa; il marito della prima moglie dello sposo carissimo amico dei festeggiati; l’ex marito della sposa in ottimi rapporti con gli sposi…e potrei continuare con l’intreccio delle due coppie tedesche presenti, ma mi fermo per non confondere ulteriormente il paziente lettore!

Così è, la società moderna a volte risulta  un po’ complicata da spiegare.

Il tutto festeggiato, la sera sul mare, ambiente piacevolissimo e rilassato. Liquidità di luoghi, di nazionalità, di orientamenti sessuali, di legami formali ed informali: un intreccio di storie e destini-liquidi ma saldamente coesi.

Cosa emerge a mio parere da questa apparentemente caotica e forse per alcuni scandalosa  liquidità? Legami e valori forti, di affetto, di amore, di amicizia, intelligenza, come quelli che legavano indissolubilmente tutti i partecipanti in quel matrimonio, in una promessa di appartenenze e fedeltà allargate, di paternità e maternità liquide e globalizzate. In altri termini, una ‘società liquida’ che sposa valori forti, e rimane coesa.

Non crediate che quella accennata sia una situazione così rara, viviamo sempre più in contesti che solo pochi ormai si ostinano a pensare chiusi in parametri tradizionali.

Infatti, gli immigrati residenti in Italia sono quasi 5 milioni, con forte aumento i matrimoni misti. Gli alunni stranieri sono circa un milione e in 415 scuole italiane la presenza degli alunni stranieri raggiunge o supera il 50% (Rapporto “Alunni con cittadinanza non italiana“, Miur)

Nell’ottica di dare risposte attuali a questi cambiamenti e pensando ai bambini nati in Italia da genitori stranieri, lo ius soli appare  in realtà come una grande opportunità di sviluppo per l’Italia, prima ancora che per gli ‘altri’: per attrarre, raccogliere e far crescere forze fresche e nuove intelligenze.

Come quelle degli imprenditori immigrati, che, abituati al rischio, grintosi e lavoratori, non solo non tolgono occupazione, ma impiegano anche i ‘nostri’ ragazzi: nei dati di Unioncamere 2013, le aziende di immigrati residenti in Italia al 2012 sono 450 mila, salite del 5,7 per cento rispetto al 2011 (a fronte di un calo di quelle di italiani), sono  il 7,4 per cento del totale e danno lavoro a 3 milioni di italiani.   

E’ ridicolo – da sempre-  il concetto di Identità come ‘separata’: a volerlo definire, è come il concetto di ‘Io’: talmente fitto di intrecci da essere non ‘altro’, ma ‘parte’ di un insieme più ampio.

Dalle ricerche genetiche sulla popolazione italiana non emergono ‘geni padani’ né ‘italiani’: sono tre i ceppi genetici di gran lunga prevalenti, greco, celtico (gallico) ed etrusco: questi ultimi ritenuti provenienti dall’Asia Minore e pre-indoeuropea (vedi il magnifico ‘The History and Geography of Human Genesis’, di Alberto Piazza e Luca Cavalli Sforza, 1994).

L’’identità non è ‘differenza’ ma ‘integrazione’ creativa di valori molteplici e diversi, un vero ‘mosaico delle qualità’  (su questa tematica può interessarti il mio post su “Le ‘vere’ radici dell’occidente”)

Pronti a farci un giro in cucina? Nella cucina tipica italiana, nostro giusto orgoglio nazionale, ricordiamo che nella storia:

Il grano e i prodotti su di esso basati provengono prevalentemente dall’Egitto, la pasta quasi certamente fu inventata in Cina, il pomodoro dalle regioni andine e coltivato dagli Atzechi, il peperoncino dal Messico, dove era in uso già dal 5500 a.c.

Per l’olio, i primi ritrovamenti risalgono all’area siro-palestinese nel 6000 a.C, il Vino,  dalle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale.

Il caffè ha origini mediorientali e quello considerato migliore nell’antichità proveniva dalla città di Mokha (nelloYemen)

Molti componenti basilari del nostro paesaggio sono anch’essi ‘importati’: aranci, limoni e mandarini vengono dall’estremo oriente portati dagli Arabi, i cipressi del ‘tipico’ panorama Toscano dalla Persia.

Ma usciamo dalla cucina, lasciamo gli alberi e torniamo alla quotidianità e alla rappresentazione dell’identità: le difficoltà ad assimilare le novità, per essere pronti ai cambiamenti sono ancora tantissime; tutti sappiamo che in Italia c’è ancora chi insulta addirittura una ministra solo per il colore scuro della sua pelle, chi rifiuta aprioristicamente la presenza degli stranieri, chi non accetta l’altro solo perché diverso; l’integrazione, l’immigrazione e l’impulso del cambiamento sociale sono invece alcuni dei fronti storici del non profit italiano, da sempre convinto che coesione e qualità sociale vadano di pari passo. Ecco perché amo ricordare spesso in queste righe gli “eroi silenziosi” dell’integrazione: sono loro, con il lavoro silenzioso di tutti i giorni, a fornire gli ingredienti per fare la vera differenza. 

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