C’è chi va, c’è chi resta, e chi fa il pendolare fra Italia e Svizzera. Andrea Ghirardini, 41 anni e un curriculum da esperto in sicurezza informatica, ha trovato la sua oasi di pace professionale oltre confine, pur continuando (per il momento) a vivere in Italia. Un talento espatriato con una preparazione che è difficile immaginare inutilizzata: negli ultimi anni, Andrea si è specializzato in computer forensics, “quella branca della polizia scientifica – spiega – che si occupa di investigare nei sistemi digitali per trovare fonti di prova per crimini di varia natura”.

Andrea è stato il primo civile ad occuparsi del tema, e ha scritto a riguardo un manuale giunto alla terza edizione. Non è bastato a garantire un futuro nel ramo: “La situazione è drammatica. Nonostante l’ampia diffusione dell’informatica forense (l’associazione nazionale conta circa cinquecento iscritti), è una professione non riconosciuta dal codice penale, e nessun governo negli ultimi dieci anni si è preoccupato di regolarizzarla. Se lavori per lo Stato, guadagni poco più di quattro euro all’ora. A meno che tu non sia ricco di famiglia, non ci campi: fai prima a stirar camicie”. Altrove non è così: “In Svizzera se c’è appena stato un concorso, vieni assunto direttamente dal Cantone come dipendente statale. In Italia invece sei consulente a partita iva, quindi difficilmente questa può essere più che un’attività integrativa”.

Messa da parte la prospettiva di costruirsi un futuro nell’informatica forense, Andrea ha coltivato la sua specializzazione in sicurezza informatica e progettazione di datacenter enterprise. Dopo anni di lavoro, anche l’esperienza diventa paradossalmente un difetto: “Al momento di cambiare lavoro, è stato un disastro. Un paio di esempi? Un’azienda, vedendo il mio cv in rete e senza che io li cercassi, mi organizza alcuni colloqui. Alla fine mi scartano perché si accorgono che cercavano un ‘junior’. In borsa italiana passo una selezione di cinque colloqui, poi mi dicono di aver cambiato i parametri, e il mio profilo non va più bene. Ecco perché ho deciso di tentare con la Svizzera: così avevo solo perso tempo, risorse, soldi”.

La prima esperienza oltre confine non va come Andrea aveva sperato: l’azienda fallisce, e alcuni stipendi non vengono pagati. Fatalità, si trattava di una ditta italiana con sede in Svizzera. Lì però interviene lo Stato, che si prende carico degli stipendi arretrati del lavoratore (fino a quattro mensilità, e con un tetto massimo di diecimila franchi al mese) e si fa debitore nei confronti dell’azienda, tutelando il lavoratore. “Questo è un esempio di Stato che ti protegge, e non sono neanche un loro cittadino. Semplicemente, ho subìto un danno, e si sono presi cura di me. Ecco perché pago volentieri le tasse in Svizzera: loro se le meritano, l’Italia no”.

A proposito di tasse, solo i frontalieri italiani hanno diritto a non versare una doppia tassazione agli Stati italiano e svizzero. Andrea si è quindi trasferito con la famiglia in una località sul confine. “La Svizzera ha 7 milioni di abitanti e una tassazione che è metà di quella italiana: funziona bene. Lì prendo uno stipendio molto più alto, con un lordo inferiore. Non posso trasferirmi definitivamente in Svizzera perché se vuoi muovere una famiglia di quattro persone devi garantire un’entrata di un certo tenore. Tuttavia è una questione di tempo: appena ho uno scatto di stipendio prendo baracca e burattini, e vado a vivere lì”. Rimanere in Italia è per Andrea una scelta temporanea, e prettamente economica. “Non provo risentimento, la mia è una presa di coscienza. In Italia le cose non vanno. Manca un governo, manca la mentalità, mancano delle politiche decenti. Vige la logica dello sfruttamento: appena uscito dall’università lavori perché costi poco, ma quando hai troppa esperienza, non possono sfruttarti come vorrebbero. L’Italia non è un paese in cui si può vivere: porto i miei figli dove forse avranno più possibilità”.

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