Erano costretti a girare vestiti da peluche sotto il sole battente di Marina di Ravenna, Cesenatico, Milano marittima, in piena estate. Oppure, se andava bene, dovevano truccarsi e vestirsi di bianco mettere su le maschere e atteggiarsi a mimi, quelli che strappano un sorriso ai turisti per mettersi in tasca qualche centesimo. In realtà erano poveri ragazzini rumeni, spesso portati via direttamente dagli orfanotrofi o dagli ospedali psichiatrici. Giunti in Italia col miraggio della terra promessa, per i giovani c’erano minacce continue, una vita da cani e ogni sera l’obbligo di portare a casa un gruzzoletto da dare ai loro capi.

Adesso il giudice per le udienze preliminari di Bologna, Bruno Perla, ha rinviato a giudizio sei persone, anche loro tutte di nazionalità rumena, che il prossimo 20 novembre prossimo di fronte alla Corte d’assise dovranno rispondere dei reati di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e alla tratta di persone. Tra loro anche i presunti capi dell’organizzazione: Aneta Adam, 33 anni, ufficialmente badante, ed Emanuel Bogdan, 32 anni, incensurati, arrestati l’anno scorso nell’ambito delle indagini e ancora detenuti. Altri 5 imputati per vizi di notifica alle difese (e in un caso perché uno di loro è detenuto in patria) attendono ancora l’udienza preliminare. Di certo è la prima volta in Italia che un’organizzazione viene processata per la tratta dei mimi. Le indagini dei carabinieri della compagnia di Ravenna sono state coordinate dal pubblico ministero Stefano Orsi della Direzione distrettuale antimafia di Bologna.

L’inchiesta era iniziata nel febbraio 2011, quando gli uomini dell’Arma erano intervenuti in un appartamento di San Pancrazio di Russi per una banale lite domestica. Arrivati sul posto i militari avevano avuto la triste sorpresa. All’interno dell’abitazione in provincia di Ravenna avevano trovato diversi giovani in precarie condizioni di igiene, malnutriti e costretti a dormire in materassi sul pavimento.

Le persone reclutate, una trentina in tutto, nella maggior parte dei casi ragazzi con problemi familiari, disagi psichiatrici, in altri casi con gravi disabilità, secondo l’accusa venivano allettati con la possibilità di una vita migliore in Italia. Così venivano trasportati in Italia, a Russi, appunto, provincia di Ravenna. Una volta giunti erano messi in una situazione di sudditanza: erano infatti privati dei loro cellulari e dei documenti di riconoscimento, al posto dei quali sarebbe bastata una fotocopia. Poi li si manteneva in case fatiscenti e con poco cibo sotto costanti minacce perché non parlassero con le forze dell’ordine.

Giorno e notte i ragazzi venivano piazzati fuori dai supermercati o nelle vie principali e affollate della Riviera, per avere l’offerta dei passanti. In alcuni casi il lavoro si svolgeva anche più a nord, tra Ferrara e Rovigo. A seconda del giorno o dell’occasione quindi facevano i mendicanti, i mimi o i giganteschi animali peluche. I guadagni, da 10 a 80 euro a persona al giorno, tutti in monetine, venivano consegnati ai vertici dell’organizzazione. Mentre ai ragazzi rimanevano solo un paio di euro per comprare una mela o una scatoletta di tonno per il pranzo. Solo uno dei ragazzi si è costituito parte civile al processo.

Articolo Precedente

Parma, ambientalisti contro la Tirreno-Brennero: “9 km per 500 milioni di euro”

next
Articolo Successivo

Bologna, il Pd per finanziare le scuole private ha bisogno dell’aiuto del Pdl

next