Si sprecano in questi giorni i giudizi sugli insulti razzisti del senatore Calderoli nei confronti della ministra Kyenge. “E’ razzista perché è ignorante”, dicono molti intervistati e commentatori in tv. “Il fascismo si cura leggendo, il razzismo viaggiando”, recita invece una frase virale su facebook. Un certo nervosismo mi assale e non resisto alla tentazione di dire la mia, andando ovviamente controcorrente.

Inizio col dire che il senatore Calderoli non è affatto ignorante o, addirittura, uno sprovveduto a cui scappano le parole a sua insaputa. Al contrario, egli sa molto bene quel che dice e sa anche quando dirlo. Perché – che piaccia o no alle ‘anime belle’ – il razzismo, per come è organizzato e si manifesta oggi, non ha nulla a che fare con l’ignoranza.

Il razzismo non è figlio dell’ignoranza. Perché? Semplice: perché se così fosse l’aumento record della scolarizzazione che si è verificato negli ultimi decenni lo avrebbe fatto scomparire o, quanto meno, diminuire. E invece assistiamo, ogni giorno di più, all’aumento esponenziale dei fenomeni razzisti (istituzionali, mediatici e popolari) in Italia, così come in Occidente.

Il razzismo non è nemmeno causato dalla non conoscenza delle tradizioni, delle culture e delle religioni delle popolazioni immigrate. Se così fosse sarebbero bastati tutti quei corsi di formazione, libri, riviste, seminari, conferenze, spot tv, programmi culturali e informativi che sono stati realizzati negli ultimi 25 anni.

Dunque, la lotta al razzismo non è una questione di informazione. Sarebbe davvero il colmo, poi, visto che ci ripetono ossessivamente da tutte le parti che viviamo nella “società dell’informazione”. Il razzismo non è neanche una questione di paura che nasce in presenza di qualcuno o qualcosa di sconosciuto. Nell’epoca in cui costa meno volare a Rabat che fare in treno la tratta Milano-Roma e quando ormai le popolazioni immigrate vivono in Italia non da ieri, ma da decenni, questa spiegazione fa a cazzotti con la più elementare logica.

Il razzismo nelle società moderne non è un fattore meramente culturale. Cioè, è anche questo, ma è prima di tutto un rapporto materiale di dominazione che produce e riproduce rapporti sociali disegualitari, ovvero rapporti sociali di oppressione, vestendoli però di naturalezza. Cioè facendoli apparire come “giusti”, e quindi “naturali” (ricordate il film di Tarantino: “Django Unchained”?). Sì, lo so, alcuni storceranno il naso e diranno che il razzismo esisteva anche nelle società premoderne. Vero, ma non aveva quella forma a tutto tondo e quelle caratteristiche di tipo sistemico che, nelle società moderne, la rendono parte strutturale dell’organizzazione sociale. 

Il razzismo moderno di tipo organico (ivi compreso quello postmoderno e ipermoderno) nasce con il colonialismo, ovvero sorge nel Cinquecento-Seicento, si sviluppa nel Settecento e raggiunge il suo apice e completamento nell’Ottocento-Novecento, parallelamente alla nascita e allo sviluppo della società moderna. Come giustamente spiegano Fabio Perocco e Marco Ferrero (Razzismo al lavoro, Franco Angeli, 2012): “E’ con l’avvento dell’economia capitalistica, prima nella sua fase mercantile, poi nella sua fase industriale e soprattutto nella fase dell’espansione coloniale e imperialista, che il razzismo assume una sistematizzazione interna quasi definitiva e occupa una posizione centrale all’interno del funzionamento del sistema dei rapporti sociali”. 

Ne consegue che il razzismo è un fenomeno sociale storicamente determinato e non un elemento naturale e fisiologico partorito dalla mente di singoli individui. Non che il razzismo non alberghi nella mente degli uomini e delle donne, ma ciò accade perché i soggetti vivono e si formano in un contesto che si fonda sul razzismo iniettato e riversato dall’alto, dai vertici della società, perché funzionale al mantenimento di certe gerarchie.

Il razzismo è dunque un complesso ideologico che naturalizza rapporti inferiorizzanti e di oppressione, in termini di razza, età, genere, popoli, stati e nazioni, le cui cause non sono da cercare nel piano individuale (cioè nel processo intra-psichico dei soggetti singoli), ma in quello collettivo. Il razzismo, pertanto, ha a che fare con la struttura generale dei rapporti sociali, come l’acutizzazione del razzismo in Italia, così come in Occidente ci dimostra ogni giorno negli ultimi venti anni. Più aumenta la necessità di sfruttamento e oppressione più aumenta il razzismo. La necessità di sfruttamento, a sua volta, è determinata non tanto dalla cattiveria dei singoli soggetti, quanto dalla necessità oggettiva di un sistema economico e sociale che si fonda sul profitto, sulla diseguaglianza e sulla gerarchia.

Ciò detto, non ho ancora spiegato perché secondo me il senatore Calderoli non è affatto ignorante, né uno sprovveduto. Pensate a come sembrerà “giusto” e “naturale” – a seguito del paragone con una scimmia di una donna nera (ministra, per giunta!) da parte di una delle più alte cariche dello Stato – ai padroni e padroncini, del nord come del sud, intensificare lo sfruttamento ed il maltrattamento dei loro sottoposti ‘neri’ (intesa qui come categoria più ampia, che comprende cioè tutti gli immigrati poveri, seppur bianchi di pelle), così come farà sentire distanti i lavoratori italiani dai loro fratelli neri. E tutti sappiamo quanto ciò serve in tempi di crisi e di diffuso malessere sociale.

E poi pensate anche al fatto che l’elettorato (educato nel tempo come quei cani in cattività a cui ogni tanto viene mostrato un pezzo di carne grondante sangue) del senatore, grazie a quella frase, non penserà nei prossimi giorni (o mesi?) agli scandali dei milioni, delle barche, delle lauree comprate e dei diamanti che hanno travolto i vertici del partito, per non parlare poi del federalismo o della secessione (e chi si ricorda più?) oppure del crollo dei voti nelle ultime elezioni. Cosa c’entra l’ignoranza in tutto questo?

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