Pronto, onorevole Claudio Scajola. “Mi dica, cosa butta di nuovo? Io, l’uomo a sua insaputa, sono ancora di moda?”.

Il mezzanino al Colosseo non c’entra nulla.
Quanto ho sofferto. Ho aspettato tre anni per sapere che davvero non sapevo: in udienza, e giuravano, le sorelle Papa e l’architetto Zampolini hanno negato le accuse. Ammetto, mi è scesa una lacrimuccia.

Angelino Alfano, a buon diritto, è un uomo a sua insaputa?
Che devo rispondere? La questione kazaka è delicata. Io parlo, voi cosa scrivete?

Ascoltiamo.
Io conosco il Viminale, non vi faccio perdere tempo.

Quante stanze separano l’ufficio del ministro e quello del capo di gabinetto?
Non più di tre, pochi metri, pochi passi.

Giuseppe Procaccini riceve i diplomatici kazaki, vogliono cacciare un dissidente: come fa il ministro a essere informato?
Aspetti.

Cosa?
La formulazione è sbagliata. Come fa un ministro a non essere informato?

Fatta la domanda, si dia una risposta.
Procediamo per esclusione ed esperienza. I due non si possono incontrare per caso, per esempio non possono ritrovarsi in bagno.

Perché?
Il ministro ha uno spazio riservato, non condivide questo tipo di bisogni. Però, per dire, il capo di gabinetto è il filtro per i dipartimenti e, viceversa, il ministro non può che compulsare questo filtro.

Al giorno, quante volte?
Io ricevevo il capo di gabinetto ogni mattina entro le 8: leggevo la posta privata, fissavo l’agenda e lui mi aggiornava sui fatti accaduti di notte. Poi ci vedevamo prima di pranzo per capire gli appuntamenti e le pratiche più urgenti. Non lasciavo il ministero, a tarda sera, se non avevo l’ultimo colloquio che faceva il punto conclusivo. Se non ci vedevamo di persona, era tassativo sentirci al telefono.

Conosce Procaccini?
Era il vice del mio capo di gabinetto, non avevo rapporti diretti con lui. Ma al Viminale conoscono la gerarchia e la fanno rispettare.

Perché un prefetto dovrebbe assumersi una responsabilità che va oltre i suoi poteri e mettere ai margini il ministro?
La gerarchia, le ripeto, la gerarchia è fondamentale.

I kazaki vanno al Viminale, la polizia organizza l’irruzione, la donna viene trasportata in un centro di accoglienza per immigrati e poi viene espulsa assieme a una bambina di sei anni. Passano 48 ore. Come può restare all’oscuro un ministro?
La sceneggiatura è ottima, convincente. Mi consenta, e utilizzo un’espressione berlusconiana, di fare una citazione. Diceva il mio maestro, ex ministro al Viminale, Paolo Emilio Tavani: “Quando ti accorgi di non avere la fiducia dei tuoi sottoposti, vattene via”.

Alfano o sapeva e ha agito male oppure non sapeva e non controlla il ministero.
Concordo. Non ci sono spiegazioni alternative.

In sintesi: il vicepremier non è all’altezza per essere un erede di Taviani al Viminale?
Sì. Però le abitudini sono fondamentali. Io mi comportavo così, vedevo regolarmente il capo di gabinetto e i miei predecessori – da Cossiga a Taviani – mi hanno insegnato questo atteggiamento, non saprei onestamente valutare la gestione moderna di Angelino… Io me lo ricordo per la sua attività politica.

Che deve fare, ora, Alfano?
Io me ne sono andato per un errore a mia insaputa, ma non posso suggerire una reazione di Angelino. Vengo da tre anni durissimi, botte da destra e sinistra, soprattutto da destra sì.

Quanto conta il Kazakistan per l’Italia?
Tantissimo. Al Viminale non ho avuto contatti, però allo Sviluppo Economico, era il 2009, ci fu un bilaterale con numerosi diplomatici. La nostra Eni ha investito somme ingenti in quel paese, c’è un giro d’affari molto importante. Mi creda: molto importante.

Dal Fatto Quotidiano del 16 luglio 2013

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