Con linguaggio particolarmente truculento, l’impresentabile ministro degli interni, nonché vice di Letta, Alfano, ha detto che “alcune teste dovranno rotolare” per il comportamento assolutamente ingiustificabile tenuto dall’Italia nel caso Ablyazov, con il sequestro a mano armata di Alma Shalabayeva e della sua figlioletta di sei anni cedute in tempi rapidissimi al dittatore kazako Nazarbaev, di cui il marito della donna costituisce il principale oppositore. Una vergogna senza pari per il nostro Paese. 

Affermazione peraltro alquanto bizzarra quella di Alfano. Intanto perché, come fa notare Carlo Bonini su Repubblica di lunedì scorso, tutta l’operazione fino a poco tempo fa, gli era sembrata del tutto irreprensibile. Ma quali teste vorrà far rotolare il truce Alfano? Poiché non bisogna ritenerlo particolarmente propenso all’autodecapitazione, occorre ritenere che il ministro berlusconofilo  si ritenga indenne da possibili accuse. Del resto, nel migliore stile italiano, con ipocrisia a gogò, si è revocato il provvedimento di espulsione per la moglie di Ablyazov e la bambina ora che entrambe sono nelle grinfie del dittatore. Per completare la farsa non resta che individuare qualche capro espiatorio. Alla ricerca del quale ultimo parrebbe essere partito con grande slancio il capo della polizia.

Si è autorizzati a nutrire il forte sospetto che qui, ancora una volta, Alfano, Letta e compagnia vogliono prenderci per fessi. E’ bene quindi chiarire, a scanso di equivoci, che un’operazione come quella che ha riportato in patria, contro la sua volontà, la signora Shalbayeva e la figlioletta, non avviene per caso. Non siamo affatto nell’ambito di quella che può definirsi l’ordinaria amministrazione. Non si mobilita un operativo di cinquanta uomini per rimandare a casa, costi quel che costi, una donna e una bambina. C’è puzza di servizi lontano un miglio. Ed è anche comprensibile, visti i rapporti che legano il dittatore kazako a tre pilastri del potere italiano: Silvio Berlusconi, l’Eni e Finmeccanica. Anche se paradossalmente, secondo Bonini, non c’erano agenti dei servizi italiani quella notte tranne un “pensionato dell’Aise” che lavorerebbe ora “per la società di investigazione privata assoldata dai kazaki per individuare il nascondiglio di Ablyazov”. Del resto che servizi segreti sarebbero se apparissero in modo evidente?

Direttamente ed apertamente implicati nella vicenda sono invece vari funzionari d’alto bordo: il capo di gabinetto di Alfano, Procaccini; il  capo della segreteria del Dipartimento di pubblica sicurezza, Valeri; il questore di Roma, della Rocca; il capo della Mobile Cortese; il capo dell’ufficio immigrazione Improta e lo stesso prefetto di Roma, Pecoraro, in qualità di firmatario del provvedimento di espulsione tardivamente revocato.

Estremamente fiducioso nel contenuto della relazione affidata all’attuale capo della polizia, Pansa, appare Alfano. Sarebbe interessante sapere da dove nasca tanta fiducia. Qualcuno sarà “messo in mezzo” per salvare le auguste terga del ministro? Saranno disposti i summenzionati poliziotti a svolgere il ruolo di agnelli sacrificali addossandosi le responsabilità dell’indegna operazione? Speriamo di no. Speriamo che cantino e facciano nomi e cognomi dei suoi responsabili politici ed imprenditoriali. Speriamo che non seguano l’esempio di Procaccini che si è auto-immolato per tutelare, a sua detta, le istituzioni (leggi Alfano, il quale infatti, secondo Procaccini, non ne sapeva nulla). 

Quello che è certo è che sono stati accertati contatti ravvicinati del quinto tipo fra emissari di Nazarbaev e alte sfere nostrane nel recente passato. Ad esempio l’incontro avvenuto il 28 maggio fra l’ambasciatore kazako a Roma Yelemessov e i summenzionati Procaccini e Valeri. Possibile che questi ultimi agissero a titolo personale e non avessero ottenuto precisi input da Alfano? Possibile che non l’abbiano informato prima e dopo l’incontro? 

Per non parlare delle rivelazioni dell’Unione sarda sul vertice fra il padrino politico d Alfano, Silvio Berlusconi, e Nazarbaev che avrebbe avuto luogo in Sardegna il 6 luglio. Possibile che in tal sede non si sia parlato dell’indegna operazione? Palazzo Grazioli smentisce l’incontro, ma tale smentita, come tutto ciò che emana dal Pinocchio nazionale, lascia ovviamente il tempo che trova. O forse Berlusconi era convinto di trovarsi di fronte il fratello di Mubarak.  

Sia che Alfano, come probabile, sapesse, sia che non sapesse, sono evidenti le sue responsabilità e quelle del governo di cui fa parte, alla cui ombra sono possibili vicende vergognose come questa, che gettano nel discredito più irrimediabile  il nostro Paese. Se ne vada Alfano e se ne vada tutto il governo di cui fa parte, prima di provocare danni peggiori. Non si può governare facendo il servitore di molti padroni, caro Ar-lettino! E tu di danni per voler avere il Berlusconi pieno e la Merkel ubriaca, per non parlare di Obama, Marchionne e troppi altri, già ne hai fatti troppi.

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