Lo sferragliare delle catene che si trascinano sul pavimento echeggia tra le stanze del palazzo democratico. L’aggirarsi nottetempo (e non solo) tra cigolii di metallo arrugginito continua a tenere col fiato sospeso gli avventori, i ‘neofiti’, per così dire, che sono venuti ad occupare le stanze del partito.

Del resto le storie di fantasmi non passano mai di moda. Questa volta, il Fantasma di Canterville ha passato il testimone a Massimo D’Alema, il quale-rendiamogliene atto-sta strenuamente onorando la memoria di sir Simon, attenendosi fedelmente al racconto in cui Wilde lo ha imbalsamato per i posteri. Il povero sir Simon, pace all’anima sua, causa l’efferato delitto di cui si macchio’ assassinando la propria moglie, si trovò, morendo, imprigionato nel mondo dei vivi, o più precisamente tra le mura del suo castello, sotto le, tutt’altro che mentite, spoglie di fantasma. Da allora il suo destino fu quello di aggirarsi in veste di spettro tra le sale del palazzo, terrorizzando gli ospiti con le trovate più assurde ed i mascheramenti più stravaganti e rimanendone in tal modo, seppur invisibile, l’unico ed indiscusso padrone.

Fu, però, l’insediarsi di una borghese quanto prosaica famiglia americana presso il castello, a mettere per la prima volta in seria difficoltà le gesta nobilmente manierate del fantasma inglese. Davanti al giovane rampollo che ogni mattina strofinava indefessamente l’indelebile, leggendaria macchia di sangue del suo delitto con l’“Incomparabile Smacchiatore Pinkerton” o dinnanzi alla proposta di Mister Otis di utilizzare il Lubrificatore Solare Tammany per oliarvi le catene, il povero Fantasma di Canterville vide vacillare tutta la sacralità del suo ruolo. “E’ mai possibile che il fascino del mistero possa essere oscurato cosi’ dalla volgarità del pragmatismo gretto?”, si domandò. E la stessa domanda sembra porsi il fantasma baffuto del povero D’Alema, che rumorosamente si aggira tra le retrovie del partito democratico, davanti all’anti-poetica ed anti-politica concretezza di Matteo Renzi.

Dopo anni di strategie tessute nell’ombra- talvolta non troppo di sinistra ma indubbiamente d’impronta politica-, di correnti interne direzionate dal vento del suo leaderismo invisibile, di sostegni e sabotaggi orchestrati dall’alto, lo spettro dell’ex Segretario resta basito ed impotente alla vista di un ragazzotto vestito di pelle che sembra pragmaticamente uscito da Drive in per assestare l’ultimo calcio a quel che resta del Pd. Come Sir Simon anche D’Alema ha il suo delitto: reo di aver piegato la moto verso il centro cosi’ tanto da cadere giù dalla sella della sinistra, si vede ora completare l’opera dal bulletto dell’Arno, che senza andare troppo per il sottile, oltre alla sostanza rinuncia volentieri anche alla forma. In effetti, se si è pronti ad appoggiare come segretario un giovanotto rampante, i cui look, ambizioni e valori ricordano quelli di Melanie Griffith in “Una donna in carriera”, al fine di “rafforzare” i consensi nel partito e garantendo cosi’ lunga vita al governo attuale, come pretendere che lo stesso accalappiatore di simpatie eterogenee non ambisca ad ultimare l’ascesa guidando lui stesso il Paese? Renzi, l’affittuario americano, non vuole permettere a D’Alema, il fantasma inglese, di bruciargli la residenza al partito, come ha fatto con tutti gli inquilini precedenti.

Così, a colpi di Briatore e di smacchiatore, all’insegna dell’ateismo politico-ideologico, la concretezza general-generica del ganzo fiorentino potrebbe assassinare finalmente l’ apparenza e concedere al Pd la leadership di destra che merita nella sostanza.

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