Uno dei più abusati ritornelli del repertorio politico nazionale, non solo dell’ultimo periodo, riguarda il tema della sburocratizzazione e della semplificazione. I cittadini, le imprese, tutti chiedono a gran voce che la pubblica amministrazione faccia presto, perché i tempi di risposta sono troppo lunghi e costosi; perché le opportunità possono sfuggire; perché i bisogni si aggravano.

Giusto. Anch’io, da candidato, ritenevo che  – una volta entrato nella stanza dei bottoni del Comune di Forlì che amministro– sarebbe stato relativamente facile cambiare registro e diventare strumento di un’azione che condividevo (e condivido) in vista di una maggiore sintonia fra amministratori e amministrati. Solo che gli ostacoli, a poco a poco, sono cresciuti a dismisura. E, nello sforzo di superarli, mi sono reso conto di cosa li genera: la giuridificazione dei rapporti sociali.

Nella nostra epoca, le relazioni informali, i vincoli fiduciari, i moti di empatia sono un’eccezione: la norma è la negoziazione strutturata, che tende, come nella micro-economia, a definire il punto di equilibrio sulla base dell’incontro della domanda (ad esempio, un bisogno) con l’offerta (il suo soddisfacimento). Se non vi è soddisfazione, qui e ora, subito, nel presente, la negoziazione tende a degenerare in conflitto e il conflitto, seguendo forme altrettanto standardizzate, in contenzioso presso i tribunali.

Con quali conseguenze? Che, da un lato, si tende ad iper-normare (per evitare interpretazioni capziose, generatrici di contenzioso); dall’altra, si è portati a sopravvalutare lo scostamento dalla norma, ritenendolo atto comunque degno di sanzione. Ma, in questo modo, non vi saranno più interpretazioni estensive o di buon senso, o errori compiuti in buona fede e perdonabili (la fallibilità è la nostra condizione abituale e prevalente); né vi saranno persone in grado di assumersi responsabilità per spirito di umanità o di altruismo: tutti, come in effetti già avviene, tenderanno a proteggersi, a pararsi, a difendere la scrupolosa e bovina interpretazione della norma. Che è la foglia di fico alla cui ombra si sentono al sicuro. Ma leggi e regolamenti non possono organizzare l’intera vita sociale: e così l’ipertrofia normativa, sulla quale s’innesta la rigidità della lettura burocratica, giuridifica le relazioni sociali, cristallizzandole.

Risultato: paralisi. Negli uffici nessuno fa un passo oltre il maniacale rispetto del regolamento; i professionisti si attengono a prassi “difensive” (“difensive” rispetto al loro cliente); nei luoghi più disparati troviamo avvisi sempre più demenziali, per evitare che qualcuno possa un giorno eccepire di aver ricevuto un danno dal mancato preavviso (con gli immaginabili strascichi giudiziari). Un tempo, sui treni c’era scritto che era vietato gettare oggetti dal finestrino o aprire la porta della carrozza con il convoglio in movimento. Oggi ci sono interessanti disegnini che spiegano come si fa ad asciugarsi le mani.

Come si fa a smontare questa macchina infernale, che nessun programma televisivo (chissà perché?) descrive nella sua brutale realtà? Non certo tornando a mitiche età dell’oro paternalistiche e pre-giuridiche. Forse, imparando a sperimentare modalità neo-mutualistiche, prassi neo-fiduciarie, basate sulla gratuità e sul dono spontaneo. Abbiamo bisogno, tutti o la maggioranza di noi, di una bella cura riabilitativa, che ci restituisca la verità della vita. Allora, forse, potremo riparlare di semplificazione: oggi questa parola suona ahimè vuota, propagandistica, ipocrita.

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