La prima volta che ho sentito parlare di Margherita Hack avevo quindici anni e una grande passione per l’astronomia. Ero indaffarato a capire cosa dovevo guardare con il mio telescopio e mi abbonai alla rivista l’Astronomia il cui direttore era lei. All’epoca mi divoravo ogni numero e in particolare ogni sillaba scritta dal famoso e ammirato direttore. Rividi poi la Hack in varie occasioni e da ultimo, due anni fa, ebbi l’onore di fare con lei una discussione sullo stato dell’università e della ricerca.

Margherita Hack era una di quelle persone che non si tiravano mai indietro. La sua apparente fragilità fisica faceva risaltare ancora di più la sua straordinaria forza di combattente. Non è mai stata di quelli che “conoscono tutto, capiscono tutto e non fanno mai niente” di cui è piena l’università. Men che meno si è fatta abbindolare dalle sirene della “meritocrazia, eccellenza, spin off, governance, tenure track,” ecc: tutta quella serie di parole chiave a cui in tanti sono andati dietro perché “meglio la riforma Gelmini che nessuna riforma”.

Margherita Hack è rimasta un punto di riferimento anche per le nuove generazioni in questi anni tempestosi in cui di punti di riferimento ne sono rimasti davvero pochi. Quel che poteva fare per mettere una diga al disastro dell’università, per fermare l’opera di smantellamento progressivo in atto da una decina d’anni a questa parte, lo ha sempre fatto con generosità e intelligenza: il suo impegno civile rimane un esempio per tutti.

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