Gianfranco Baldazzi, uno dei primi grandi parolieri della canzone italiana, è morto a Roma a seguito delle complicazioni di un’operazione chirurgica. L’annuncio è stato dato dalla moglie Miriam Eredi.

Avrebbe compiuto 70 anni tra un mese, il poeta, giornalista e scrittore bolognese che nel 1972 assieme a Sergio Bardotti compose le strofe di Piazza Grande. Uno tra i brani più popolari e canticchiati della musica leggera italiana, nonché una tra le più intime e struggenti liriche dell’immensa produzione di Lucio Dalla.

Baldazzi insieme a Dalla. Rosalino Cellamare e altri amici bolognesi, sul finire degli anni sessanta ha reinventato il pop italiano che stava uscendo dalle ubriacature dei 45 giri (con un lato B spesso inesistente) e si immetteva nell’epoca del cantautorato anni settanta. Il secondo album di Dalla, Terre di Gaibola (1970), quando ancora il genio bolognese non era diventato celebre, è un autentico capolavoro, zeppo di intuizioni sonore, uso atipico dell’orchestra, che vede Baldazzi autore di quattro memorabili testi del disco assieme a Sergio Bardotti: Fumetto, Sylvie, Dolce Susanna e Occhi di ragazza.

Di nuovo nel 1971 Baldazzi e Bardotti firmano sei brani del terzo album di Dalla, Storie di casa mia, che lo consacrerà anche dal punto di vista delle vendite, riducendo al minimo l’elaborazione melodica ed evidenziandone le doti canore. Tra i testi del disco spiccano Itaca, La casa in riva al mare e Il colonnello: quest’ultimo brano misconosciuto che oggi andrebbe riascoltato per le bizzarre e dirette strofe politicamente scorrette che parlano di “comunismo” e “pederastia”, scioperi e dolce vita, tutti da cancellare in nome di un ordine sociale da ricostruire.

Ma è nel 1972 che Gianfranco Baldazzi iscrive in eterno il suo nome nella hall of fame della musica italiana. Piazza Grande, portata a Sanremo da Dalla, nonostante le rimostranze della sua casa discografica, è un autentico successo “popolare”. Storia di un senza tetto realmente vissuto a Bologna, il titolo si rifà, proprio come ha dichiarato Baldazzi in diverse interviste, a Piazza Cavour di Bologna, spazio nascosto della città felsinea, anche se erroneamente associato nella mente dei non bolognesi all’immensa Piazza Maggiore.

Da lì il sodalizio con Dalla sfuma, pur rimanendo sottotraccia, e Baldazzi si getta a capofitto nella scrittura dei testi dei primi tre album di Ron: Il bosco degli amanti (1973), Dal nostro livello (1973), Esperienze (1975). Anche se poi gli anni ottanta diventano per il poeta bolognese il momento di dedicarsi all’altra grande e naturale passione: quella della scrittura. Diversi i volumi in cui diventa divulgatore della storia della musica italiana del Novecento, attività che lo trasforma in affermato ed esperto critico musicale tanto da portarlo negli ultimi quindici anni a lavorare alla trasmissione Notturno Italiano per Rai International e a diverse riviste del settore.

Baldazzi ha anche scritto testi per Mina, Gianni Morandi, Ornella Vanoni e un pezzo prepotente per gli Stadio come Grande figlio di puttana, emblema scanzonato di quella “Bologna coi suoi orchestrali”, per dirla alla De Gregori, che ha visto nascere, chiudersi bruscamente e rivivere inaspettatamente amicizie tra colleghi. Su questa scia anche l’estemporanea esperienza dell’etichetta discografica Pressing, fondata con l’amico Lucio dal 1991 al 1995 che lancia Samuele Bersani.

Da non dimenticare l’ultima opera scritta da Baldazzi con il fotografo Roberto Serra, dedicata a Dalla. S’intitola L’uomo degli specchi (Minerva Edizioni) e racconta in forma narrativa le mille sfaccettature dell’intensa personalità del cantante bolognese, una vita d’artista mai banale, costellata di delusioni cocenti e di successi trionfali.

 

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