Il rischio di essere banali, nel celebrare i 70 anni di una grande artista come Raffaella Carrà, è dietro l’angolo. Ma è un rischio che vale la pena correre, perché siamo di fronte a un personaggio televisivo che ha attraversato da protagonista gli ultimi 45 anni di storia italiana.

L’ombelico, il tuca tuca, la svolta dance di fine anni Settanta, le spalline, il carré biondissimo, i fagioli, le carrambate, Boncompagni, Japino, la Spagna, il Sudamerica, gli spot pubblicitari, la rinascita con The Voice. Potremmo snocciolare con dovizia di particolari ogni singolo successo, tratto caratteristico e tormentone generato, e non creato, dalla Raffa nazionale. Ma il rischio di cui sopra diventerebbe una certezza. E allora è meglio affidarsi ai ricordi personali, alle suggestioni di bambino, alle influenze sulla propria formazione (pop)culturale e nazionalpopolare.

Il mio primo incontro con Raffaella Carrà è datato 1984, o forse 1985. Casa dei nonni, mezzogiorno. Io stavo lì, a 4 o 5 anni, a sparare cifre improbabili sui famigerati fagioli di Pronto, Raffaella?. E restavo ipnotizzato quando partiva la sigla. Que dolor, mi pare. Una canzone che ancora oggi ha lo stesso effetto della pétite madeleine proustiana. Ricordo l’imitazione di Gianfranco D’Angelo a Drive In, con le lacrime che scorrevano a fiumi dagli occhi della Carrà. Ricordo anche il passaggio alla Fininvest e il Raffaella Carrà Show e Il Principe azzurro. Due programmi che per me, bambino ammaliato dalle paillettes dei suoi vestiti, erano bellissimi. Solo crescendo, e rivedendone qualche spezzone, ho capito che televisivamente erano stati un flop strameritato. Ma non importava. Per me c’era Raffa. E andava bene così.

E quando Tiziano Ferro ha inciso “E Raffaella è mia”, ho capito che il cantante aveva dato voce a un sentimento diffuso tra i miei coetanei molto più di quanto si pensi. Raffaella Carrà è diventata il simbolo rassicurante, vincente, bonario e divertente di un’Italia leggera ma non vuota, che non si prende sul serio ma non è approssimativa. In fondo noi italiani siamo tutti un po’ Raffa: sappiamo fare tutto, anche se non eccelliamo in nulla. Ci impegniamo anche oltre le nostre possibilità per dare il meglio di noi stessi.

Forse è per questo che questo Paese ama così tanto Raffaella Carrà. Forse è per questo che la amo così tanto anche io. Forse è per questo che questi settant’anni per me sono come il Giubileo di Elisabetta II per gli inglesi. In un paese triste, piegato dalla crisi, grigio e senza prospettive, l’immagine solare, eccessiva, “sbrilluccicosa” di Raffaella Carrà è un toccasana, una boccata d’aria pura.

Oggi fate come me: abbandonate per un giorno le vostre letture impegnate e la musica d’autore; ascoltate l’opera omnia della Nostra, dal Tuca Tuca a Rumore, da A far l’amore comincia tu a Ballo Ballo. Lasciatevi andare e celebrate come si deve il compleanno della Regina d’Italia.

 

Articolo Precedente

Lombardia, vogliono toglierci anche la dignità di essere malati

next
Articolo Successivo

Amavo Freud, ma ho scelto la Psicologia cognitiva

next