I romani hanno dovuto attendere quasi nove anni dall’inizio della gestione del sistema idrico da parte di Acea Ato 2 spa per vedere riconosciuta nella bolletta la tariffa agevolata a favore di chi ha un basso reddito. Nessuna concessione, in realtà, ma un obbligo di legge previsto fin dalla legge Galli del 1994 e ripreso esplicitamente nella convenzione che regola il servizio. E nessun costo per la multinazionale quotata in borsa, visto che la tariffa sociale è completamente finanziata dagli stessi utenti, che pagano circa un centesimo per ogni metro cubo di acqua usata. Sorprendentemente si scopre – dopo due anni dalla creazione della quota “sociale” – che quasi nessuno nella capitale ne usufruisce. Su quasi quattro milioni di persone servite a Roma e provincia, sono poco più di ottocento le domande accolte per concedere la riduzione, come se la crisi non esistesse. Un dato che si scontra con l’aumento dei distacchi per morosità, pratica che sta lasciando tante famiglie senza diritto all’acqua, nonostante il referendum di due anni fa.

Che succede? I conti li ha fatti la segreteria tecnica operativa dell’Ato 2 – bacino che comprende l’intera provincia di Roma – che ha stimato un “tesoretto” destinato ad aiutare chi non può pagare la bolletta di circa 8 milioni di euro, accumulato – e non speso – da Acea grazie a quel contributo di solidarietà istituito nel 2011 proprio per coprire l’esigenza della tariffa sociale. Pochissime le domande arrivate al gestore (1930 nel 2011), e ancora meno quelle accolte (828).

Il meccanismo per ottenere il diritto alla tariffa sociale – il cui regolamento è stato approvato dai sindaci nel 2011 – sembra una sorta di sadico gioco dell’oca. Primo: le domande potranno essere inoltrate esclusivamente con raccomandata con ricevuta di ritorno (costo tra i 4 e i 5 euro), escludendo il fax, l’email o anche il tradizionale sportello. Secondo: ogni domanda dovrà essere corredata da un certificato in originale di residenza, a dispetto delle norme sull’autocertificazione (costo 14,34 euro di bollo obbligatorio). Terzo: ad ogni domanda – che va rinnovata tutti gli anni – deve essere allegata la dichiarazione Isee del titolare dell’utenza. E, per finire, le richieste possono essere accettate solo se arrivano negli uffici Acea entro il primo luglio. Il risultato? Tra costi e difficoltà in molti casi non conviene chiedere di accedere al fondo di solidarietà: a fronte di un costo di almeno 20 euro, il beneficio è pari a 29 euro di sconto a persona sulla bolletta in un anno. Se poi la domanda non viene accettata, nessuno risponde all’utente, spiegandogli dove aveva sbagliato.

C’è poi un problema di informazione. A Roma gran parte delle utenze sono condominiali, con le bollette che arrivano solo all’amministratore. Nessuno avvisa i condomini sull’esistenza della tariffa sociale, che rimane una sorta di chimera. Nessuna campagna pubblicitaria sulla possibilità di accedere al fondo di solidarietà è stata mai avviata da Acea. E, infine, le stesse modalità di richiesta tendono a scoraggiare l’avvio della pratica. Eppure il fondo per garantire una quantità minima di acqua depositato nelle casse di Acea non è di poco conto. Nel 2011 la multinazionale romana ha raccolto attraverso le bollette 3,9 milioni di euro alla voce “contributo di solidarietà”, cifra salita lo scorso anno a 4,2 milioni di euro.

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