Dopo aver visitato un museo in ‘prove tecniche di chiusura’ ho documentato e denunciato in questo post sul fattoquotidiano.it l’avvilente fine dedicata ai beni culturali nel nostro Paese. Ricevo e pubblico la richiesta di rettifica del CdA del Pio Albergo Trivulzio, cui sono legate le sorti del Museo Martinitt e Stelline. Sotto, il dovere della replica.

“Il CdA del Pio Albergo Trivulzio, ben oltre gli stereotipi di destra e di sinistra, ha molto a cuore la valorizzazione della cultura che passa anche attraverso il controllo degli sprechi. Per questo ci preme precisare che: nessun licenziamento è stato effettuato da questo CdA tra i dipendenti del Museo, né è prevista per il futuro la chiusura del Museo di cui, anzi, si vogliono mantenere e valorizzare le attività culturali. Ciò che è invece attualmente oggetto di  valutazione è lo spostamento dell’area museale e del suo archivio in un’unica sede, più idonea, all’interno della realtà storica e culturale milanese.

Il Museo dei Martinitt rappresenta per il Trivulzio una costante voce di spesa – circa 240 mila euro annui – a fronte di un incasso irrisorio. L’edificio in cui si trova attualmente è uno dei più prestigiosi del patrimonio immobiliare del PAT – al n. 57 di corso Magenta – e per questo, solo dopo il trasferimento del Museo, se ne ipotizza l’affitto.

In questo senso il cambio di sede rappresenta una scelta non solo necessaria ma anche utile a una migliore fruizione del Museo. Tale azione si colloca tra le azioni di razionalizzazione e sviluppo che il PAT sta mettendo in atto per far fronte alla situazione economico-finanziaria che si è trovato ad affrontare. Ma non l’unica, poiché sono già stati attuati: una nuova politica sugli affitti, un piano vendite che prevede la dismissione di unità immobiliari tramite bando pubblico e un piano di investimenti che mira a valorizzare gli immobili e a ottimizzare la gestione degli affitti e delle dismissioni. Il tutto in un’ottica di totale trasparenza”.

La replica. Nel 2009, anno di apertura del Museo, i dipendenti erano sei. Oggi due. I restanti quattro sono contratti a termine non rinnovati. La cultura non è mai uno spreco, al massimo una opportunità persa. I beni culturali italiani aperti dal pubblico incassano appena il 10% del loro costo di gestione, se affidati a un privato il 43%, se gestiti dal Fai l’80%. Dunque, con capacità e volontà essi possono rendere economicamente; se un museo viene considerato solo come voce di spesa non si fa altro che ammettere le proprie colpe nella loro improduttiva gestione. Ma anziché cambiare e investire (in corso Magenta c’è il Cenacolo, qualcuno ha mai pensato di attirare anche l’1% di quei visitatori?) si decide di chiudere la sede del museo. Infine, sarei davvero curioso di conoscere la reazione del mite Leonardo Del Vecchio, ex Martinitt, che ha donato al PAT ben 2 milioni di euro per trasformare quella sede in museo. Ristrutturato il Palazzo si affitta per far cassa: la beneficenza si mette a reddito. Ecco, se i tecnici considerano i ‘soli’ numeri, i politici devono trasformali in Giustizia. Ecco perché l’appello non era rivolto al cda del PAT ma ai politici (di sinistra).

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