Nel mezzo della crisi libica il presidente del Consiglio di allora, Silvio Berlusconi, fece una richiesta un po’ irrituale ai servizi segreti guidati allora da Gianni De Gennaro: “Non è che potreste far fuori Gheddafi?”. Il Fatto Quotidiano lo apprende da una fonte diplomatica autorevole vicina agli ambienti della sicurezza. E l’ex ministro della Difesa Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) commenta così: “Non venivano certo a raccontarlo a me, ma è possibile. Berlusconi era preoccupato di trovarsi lui stesso in difficoltà perché considerato troppo vicino al leader libico”. Difficile dire se poi ci sia stato un seguito, le cose dei servizi segreti restano, quasi sempre, segrete”.

Da quanto si può ricostruire, quello di Berlusconi era un tentativo un po’ naïf di risolvere una situazione imbarazzante, visto che nel marzo 2011, quando cominciano i bombardamenti della Nato su Tripoli, i ricordi dei vertici romani (con tanto di tenda nel parco di villa Pamphili) tra il Cavaliere e il Colonnello erano ancora freschissimi. Berlusconi ha sempre vissuto con un certo fastidio la fermezza con cui il suo ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è subito schierato nel fronte degli interventisti della Nato. Ma quando le cose sono precipitate ed è diventato chiaro che il potere di Gheddafi stava crollando, Berlusconi deve aver pensato di risolvere la cosa in modo rapido, cercando di riabilitarsi all’ultimo secondo.

L’Italia aveva da poco firmato anche un compromettente trattato di amicizia italo-libico che impegnava il governo a investimenti in Libia e la Banca centrale del Paese aveva mandato due dei suoi fondi di investimento in soccorso di Unicredit. Al di là degli affari, però, c’era il rapporto personale, a lungo ostentato, tra Berlusconi e Gheddafi. Avere un ruolo nella sua eliminazione poteva essere un utile argomento per il Cavaliere che attraversava già una crisi di legittimità a livello internazionale (sopravviverà, politicamente, meno di un mese alla morte del raìs). Ovviamente le cose non sono così semplici, i servizi segreti tendono a non agire direttamente, preferiscono di solito influenzare, indirizzare , procedere “per proxy”, come si dice in gergo, cioè mandare avanti i soggetti che già operano sul territorio (nel caso specifico i ribelli libici).

Che dietro la morte del leader libico, il 20 ottobre 2011, ci possa essere l’attivismo di spie occidentali però non è un eccesso di complottismo. Negli ultimi giorni un’inchiesta di Le Monde (integrata da Fausto Biloslavo sul Giornale) ha rivelato un possibile retroscena di quegli eventi: l’allora presidente della Francia, Nicolas Sarkozy, capofila dell’intervento della Nato, era molto preoccupato che emergessero i suoi legami, altrettanto imbarazzanti, con il regime libico. “Penso che Sarkozy ha un problema di disordine mentale. Ha detto delle cose che possono saltar fuori solo da un pazzo”, disse Gheddafi a Biloslavo del Giornale, che ricorda: “Il Colonnello non riusciva a comprendere come l’ex amico francese, che aveva aiutato con un cospicuo finanziamento (forse 50 milioni di euro) per conquistare l’Eliseo fosse così deciso a pugnalarlo alle spalle”. Anche Lorenzo Cremonesi, sul Corriere della Sera, ha raccontato a fine 2012 come a Tripoli in tanti sostenessero che dietro la morte di Gheddafi ci fosse un agente francese. In quei mesi del 2011, complici partite industriali ed economiche (dalle nomine in Bce alla Parmalat al nucleare) i rapporti tra Berlusconi e Sarkozy erano piuttosto stretti.

Chissà se il Cavaliere è poi riuscito ad avere un ruolo nell’eliminazione del Colonnello. Probabilmente no, visto che alla morte del dittatore invece che rivendicarne l’eliminazione si limitò a liquidarlo con un semplice: “Sic transit glora mundi”.

Da Il Fatto Quotidiano del 13 giugno 2013

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