Mi trovo a Kabul da qualche giorno, e come sempre da queste parti succede che qualcosa non gira mai per il verso giusto: proprio l’altro ieri pomeriggio c’è’ stato un attentato alla Corte Suprema. Una macchina piena di esplosivo, guidata da un kamikaze, si è scagliata sulla porta all’ora di uscita degli uffici. Una carneficina. Mi raccontava oggi una ragazza dello staff afgano di Pangea che è morta una insegnante dell’asilo per gli impiegati della Corte suprema assieme a due bambini. Sua madre, insegnante anche lei, salva solo perché aveva il turno che finiva alle 12,30, era distrutta dal dolore.

Il messaggio di rivendicazione dei talebani è stato chiaro, la giustizia non è in mano allo Stato afgano che applica la legge degli infedeli.

Il quadro è sconfortante, soprattutto sapendo con quanta tenacia realtà come Pangea lavorano accanto a donne e bambine, e di conseguenza su tutta la popolazione in Afghanistan, e come in un secondo tutto può sparire. Parlando con queste donne oggi a Kabul si sente lo spaesamento e la paura del futuro 2014, non si hanno prospettive ma una sola consapevolezza, la loro libertà è sempre più il miraggio di un’oasi che non esiste. Eppure se si parla di libertà e diritti delle donne e di tutta la popolazione afgana, non si può prescindere dal quadro internazionale. Da pochissimo è terminato l’incontro a Bruxelles sul “Resolute support” il nuovo mandato della missione Isaf, dal 2015, e sempre di più il Qatar insieme agli Usa giocano un ruolo importante nel “processo di pace afgano”.

Il Qatar, grazie alla sua potenza economica e lungimiranza nella comunicazione, si sta posizionando sempre di più anche come potenza internazionale capace di influenzare e spostare equilibri importanti nelle politiche mondiali, soprattutto tra i paesi del mondo islamico (Afghanistan, Palestina, Siria, Egitto etc.). In particolare per l’Afghanistan il Qatar volge un ruolo chiave: ha accolto i talebani in via non ufficiale dal 2011 e sta portando avanti negoziati per aprire il loro ufficio diplomatico a Doha in maniera da accelerare il “processo di pace”, considerandolo un “terreno neutro”per dialogare.

In questi giorni Karzai è andato per la seconda volta in tre mesi in Qatar, non solo per partecipare alla Conferenza Internazionale islamica-Usa, ma per discutere con persone chiave di pace in Afghanistan e i problemi della regione circostante, Pakistan in primis. Da tempo la volontà di Karzai e di alcuni paesi che lo sostengono è quella di far rientrare i talebani tra le forze governative e parlamentari soprattutto in vista delle elezioni presidenziali del 2014 che si svolgono nello steso anno della exit strategy della Nato. Ultimamente è apparso alla televisione nazionale invitando i talebani a istituzionalizzarsi e a partecipare alle elezioni presidenziali, “anche mullah Omar può essere votato” in maniera da ripulirsi ed entrare a pieno titolo nel buzkashi del processo di pace afgano.

Ma se da un lato si auspica l’apertura dell’ufficio di rappresentanza dei taleban a Doha, dall’altro il portavoce del Ministro degli affari esteri afgano Janan Musazai dichiara in questi giorni che “I talebani hanno buone relazioni con i paesi stranieri ma questo gruppo continua a massacrare civili innocenti in Afghanistan” ecco perché secondo lui l’ufficio di rappresentanza taleban non può essere aperto sino a quando i militanti non scendono a patti con le richieste del governo ovvero rinunciare ai legami con al Qaeda e con il terrorismo. Non a caso nell’arco di tre giorni ci sono stati due tra i più sanguinosi attentati degli ultimi mesi a Kabul, tra cui quello alla Corte Suprema.

Ecco come il Qatar entra nel buzkashi afgano, spalleggiando movimenti retrogradi che invece di portare sviluppo e Pace, spingono a camminare sulle orme del passato. Tanto per fare un esempio, l’ultima dichiarazione di questi giorni da parte dei talebani è di accettare che vi sia educazione scolastica per i bambini maschi, basata su principi religiosi (ovvio), ma non per le bambine.

Sia il governo afgano che le forze internazionali se da una lato giocano a fare i salvatori delle donne e dei loro diritti, sono in realtà i primi a concederle come moneta di scambio per una “pace” senza speranza che sia semplicemente meno costosa possibile per loro.

Quale altra alternativa? Sarebbe incredibile poter riunire il dolore di tutte le donne afgane e farne un’arma potentissima di trasformazione o semplicemente farne la reale moneta di scambio per la pace di tutti e la loro libertà.

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