La storia giudiziaria di Graziano Mesina comincia nel 1956. Chiusa nel 2004 dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che gli concesse la grazia, si è improvvisamente riaperta nove anni dopo con un arresto per droga. Mesina aveva 14 anni e venne arrestato per porto abusivo di pistola e oltraggio a pubblico ufficiale. Ottenne il perdono giudiziale, ma il conflitto con la legge ha poi scandito tutte le tappe della vita di quello che è stato a lungo definito “l’ ultimo balente” e che ha trascorso in carcere circa 40 dei suoi 71 anni di vita.

Ma a segnare il percorso umano che ha fatto per molti anni di “Grazianeddu” un mito – pagine di racconti sui rotocalchi delle sue avventure galanti da latitante, ‘visite camuffatè allo stadio di Cagliari per seguire “Rombo di tuono Gigi Riva” non sono solo date e avvenimenti: tanti, infatti, sono i personaggi pubblici che in qualche modo si sono occupati di lui, penultimo di dieci figli di una famiglia di pastori di Orgosolo. E’ notoria la grande considerazione che ebbe di lui Indro Montanelli, tra i primi a battersi perchè gli fosse concessa la grazia, ma sono in pochi probabilmente a ricordare che ad opporsi nel novembre del ’91 alla concessione del provvedimento fu Giovanni Falcone, all’epoca direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia che disse “no” all’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Era il 14 novembre e Cossiga, in visita a Barcellona, espresse “avviso favorevole” alla concessione della grazia a Mesina, il quale si trovava in libertà vigilata condizionale dal 18 ottobre su decisione del tribunale di sorveglianza di Torino (che nel 1993 revocò tale provvedimento).

“Salvo i rari casi in cui sussistano gravi ragioni per eliminare, con un successivo atto di grazia, la libertà vigilata che per legge consegue alla libertà condizionale, l’ Ufficio non usa avanzare – scrisse Falcone, nel motivare il rigetto – proposte di grazia in favore di condannati ammessi a liberazione condizionale. Tali gravi ragioni non sembrano, allo stato, sussistere per il Mesina”. Quel periodo di libertà durò però solo 22 mesi, trascorsi in gran parte tra qualche visita ai suoi familiari a Orgosolo e la campagna astigiana (viveva a San Marzanotto ospite di un amico d’infanzia): il 4 agosto del 1993 il tribunale di sorveglianza revocò la concessione della libertà condizionale dopo il ritrovamento nel cascinale dove viveva di un kalashnikov e altre armi da guerra (Grazianeddu si è sempre detto estraneo a questo episodio).

Le porte del carcere così si richiusero – e questa volta sembrava per sempre – alle spalle di Mesina, dopo la condanna a otto anni e sei mesi di reclusione che gli fu inflitta ad ottobre del ’94 dai giudici del tribunale di Asti.

Il nome dell’ultimo ‘balente comparve anche nelle vicende seguite al rapimento del piccolo Faruk Kassam: Mesina sostenne di aver fatto da intermediario, favorendo la liberazione dell’ ostaggio, ma la circostanza è sempre negata dagli inquirenti e ha portato ad una condanna per favoreggiamento.

Nell’estate del ’98 sperò, invano, di avere un breve permesso. Avrebbe voluto tornare ad Orgosolo dove il 28 luglio si svolsero i funerali della madre, Caterina Pinna, una figura emblematica del ruolo della donna in Barbagia. Sposata col pastore Pasquale Mesina e madre di dieci figli, la donna era rimasta vedova nel 1954 quando Graziano aveva 12 anni, diventando il punto di riferimento della famiglia. Dopo la cattura del figlio, a fotografi e giornalisti accorsi a Orgosolo aveva chiesto “diecimila lire a posa, mentre per le interviste dipende da giornale a giornale”. “Dovete capirmi – aveva spiegato – gli avvocati costano e non è vero che siamo diventati milionari con la latitanza di Grazianeddu, guardate le mani da muratore di mio figlio Nicola”.

L’ anno dopo, il nome di Grazianeddu ricomparve nelle cronache dei giornali, anche se soltanto indirettamente e proprio legato a un caso di grazia. Il 2 novembre del ’99 (la notizia si apprese però solo il 6 dicembre), il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concesse la grazia all’ avv. Bruno Bagedda, difensore “storico” di Mesina. Il penalista, 78 anni, originario di Bitti (Nuoro), in passato parlamentare e esponente di primo piano del Msi, era stato condannato a 14 anni di reclusione per concorso nel sequestro-omicidio del giornalista Leone Concato, rapito nella sua villa di Cala di Volpe, in Costa Smeralda, nel maggio del 1977 e mai liberato nonostante il pagamento di un riscatto di 400 milioni di lire.

Uscito nel 2004 dal carcere di Voghera dopo la concessione della grazia “acciaccato – disse – solo per un raffreddorone”, Mesina tornò qualche tempo dopo nella “sua” Orgosolo e fece anche una visita informale al Consiglio regionale di Sardegna. Infine, disegnò il suo futuro da uomo libero: guida turistica nella Barbagia, nell’Ogliastra e nel Supramonte, nascondigli inespugnabili durante la latitanza e dopo le sue rocambolesche fughe, mantenendo sempre un carisma criminale inarrivabile, come provato dalla scuse di due ladruncoli che nello scorso marzo rubarono una Porsche e si scusarono con Mesina quando seppero che ne era il proprietario.

L’ultima uscita pubblica a fine maggio a Gorizia dove, durante il festival “E’ storia”, ha reso noto che il suo “annuncio anticipato della liberazione di Farouk Kassam evitò un blitz per liberare il bambino, programmato dalla Polizia per il giorno dopo”. Graziano Mesina, ex primula rossa del banditismo sardo, ha sempre confermato il suo ruolo per la scarcerazione del bimbo libanese sequestrato a Porto Cervo nel gennaio 1992. Grazianeddu negli ultimi anni, dopo aver ottenuto la grazia dall’allora presidente Ciampi, ha cercato di reinserirsi nella vita sociale, partecipando ad incontri, tentando anche di entrare al reality Tv  “L’Isola dei Famosi”, progetto che poi fallito nel 2009, e impegnandosi ad Orgosolo nell’attività di guida turistica, sfruttando la sua conoscenza del Supramonte.

Ma che non tutto filasse per il meglio è testimoniato da un inquietante episodio avvenuto alla fine del marzo scorso quando venne rubata ed incendiata la sua Porsche Cayenne. Si era parlato di un fatto casuale nei confronti di un uomo “che ha chiuso con il passato ed ha saldato i suoi errori” ma lo sgarro a Mesina da parte di alcuni balordi, che non avrebbero saputo che il mezzo era suo, è suonato strano. In quella occasione l’ex ergastolano non si scompose e disse di perdonare. Più volte ha ripetuto di aver pagato le sue colpe: “Non bastano i 40 anni e sei mesi di galera che ho scontato? Oggi in Italia c’è gente che si è macchiata di orrendi delitti e dopo qualche anno di carcere, puntualmente appare in televisione. La mia è invece soltanto la storia di un povero Cristo, che da giovane ha imboccato una strada sbagliata, in una terra selvaggia e abbandonata da tutti, che però ha scontato interamente la sua lunga pena”.

 

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