Ho spulciato il rapporto della Fieg sullo stato dell’editoria italiana nel biennio 2010-2012. E poi ho spulciato gli approfondimenti degli analisti sui dati emersi dal rapporto della Fieg. Tra le altre cose nel rapporto si legge che, secondo l’ultima rilevazione Audipress relativa al primo trimestre del 2013, sono all’incirca ventuno milioni le persone che ogni giorno leggono un quotidiano. Nel 2012 erano oltre ventiquattro milioni e mezzo. In termini più precisi significa che, nel giro di un anno, tre milioni e seicentosessantatremila lettori di quotidiani (sei su cento) sono diventati un’altra cosa, cioè non sono più lettori di quotidiani.

Cosa fanno oggi questi tre milioni e seicentosessantatremila ex lettori di quotidiani? Oh beh, ecco, io non ne ho la più pallida idea, e credo nemmeno i più fini analisti. Quello che mi sorprende, però, quando leggo gli approfondimenti dei fini analisti sui dati emersi da questo o quel rapporto, è che nessun fine analista pensa mai a fare la cosa più semplice di tutte, cioè a chiedere ai diretti interessati le ragioni per cui non fanno più una determinata cosa che invece prima facevano regolarmente. I fini analisti tendono a dare interpretazioni che tirano in ballo tutte le grandi cause possibili, che nel nostro caso si traducono in cose come “impoverimento generale dovuto alla crisi economica”, “criticità di natura strutturale”, “concorrenza dei nuovi media”. Cause senza meno oggettive, ma che tuttavia a me paiono un pò caliginose, perché non entrano nello specifico delle scelte di una singola persona. Cioè gli indicatori, i macro-dati, sono per gli studiosi cose bellissime (almeno credo) e sicuramente attendibilissime, però io ho ancora quella vecchia fissazione umanista e un pò naïf secondo cui la verità va ricercata attraverso l’investigazione sull’uomo e sui suoi interessi individuali. I fini analisti invece sono più interessati alle cause che agli effetti. O meglio, i fini analisti, una volta preso atto degli effetti, tendono a ricercare le cause in contesti astratti, trascurando alcuni elementi molto concreti. E poiché credo che la lettura, di un quotidiano o di un libro che sia, rientri ancora tra quelle attività solitarie che in qualche modo sfuggono ai grandi sistemi, penso che per capire le cause di una defezione occorra ragionare, appunto, in termini individuali.

Ecco, allora voglio approfittare una buona volta della pazienza e della buona volontà di tutti per porre qui una richiesta: visto che mi pare ben lecito immaginare che fra i settecentomila visitatori giornalieri de ilfattoquotidiano.it ogni tanto passi qualcuno che nell’ultimo anno ha smesso di leggere un quotidiano, io vorrei chiedere agli ex lettori di quotidiani, cioè a quelli che fanno parte di quei tre milioni e seicentosessantatremila lettori di quotidiani che nell’ultimo anno sono diventati un’altra cosa, vorrei chiedere di avere la gentilezza e la pazienza di scrivere quali sono state le ragioni che li hanno spinti a smettere di leggere il quotidiano che leggevano fino all’anno scorso.

Perché è senz’altro vero che qualcuno ha smesso di comprare un quotidiano perché non può più permetterselo, è senz’altro vero che qualcun altro ha smesso di comprare un quotidiano perché i quotidiani offrono servizi d’informazione sempre più scadenti, ed è senz’altro vero che qualcun altro ancora ha smesso di comprare un quotidiano perché si fa la sua bella rassegna stampa sui portali web e sui social network, ma magari a volte, con una piccola domanda diretta e – chissà – un pò primitiva, si vengono a scoprire nuove cause a cui i macro-dati non danno rilievo, e che forse possono aiutarci a capire meglio le ragioni di un’involuzione culturale che può diventare molto, molto pericolosa nell’immediato futuro di questo paese.

Il Fatto Personale

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