È un mistero. Da un lato è normale, visto che si tratta in larga parte di materia “religiosa”, dall’altro non tanto perché parliamo di fisco. Parliamo dell’Imu per il non profit – soprattutto per gli immobili appartenenti ad enti religiosi – che da quest’anno pagano l’imposta per la parte dei loro immobili utilizzata per attività commerciali. Si promettevano meraviglie: l’associazione di ricerca Ares stimò in oltre 2 miliardi il gettito potenziale per le sole proprietà della Chiesa, l’Anci parlava invece di 500-700 milioni, la commissione del Tesoro sull’erosione fiscale guidata da Vieri Ceriani nel 2011 stimò prudenzialmente 100 milioni di euro.

Il governo Monti, modificando la legge per non incorrere in una multa europea per aiuti di Stato, si guardò bene dal fare previsioni, ma coi soldi promise di abbassarci le tasse: “Le maggiori entrate saranno accertate a consuntivo e potranno essere destinate all’alleggerimento della pressione fiscale”. Anche l’Europa ha gettato la spugna: nel dicembre scorso ha detto che la nuova legge sanava una situazione illecita, ma che quantificare il danno era impossibile. Risultato: un bel condono per gli illeciti 2006-2012.

E ora? Ora che tutto è a posto, quanto incasserà l’erario? Ufficialmente è un mistero, ufficiosamente non molto di più rispetto agli anni scorsi. Lo sostiene, anonimamente, una fonte dell’associazione dei Comuni e ne è convinto l’uomo che ha iniziato la battaglia a Bruxelles contro i privilegi fiscali della Chiesa, l’ex parlamentare radicale Maurizio Turco: “Il gettito non subirà variazioni sostanziali rispetto al passato. Il regolamento bizantino varato dal governo Monti non ha fatto altro che posticipare il momento della verità. Non è con l’autocertificazione che si risolve il problema: senza controlli non sapremo mai chi e quanto dovrà pagare”. Ma i Comuni non sono interessati a incassare? “I sindaci – è la risposta – non fanno i controlli per la semplice ragione che sono nelle condizioni tecniche e politiche per farli”. Tradotto: non hanno il personale, né la volontà di mettersi contro un apparato che i governi d’ogni colore hanno dimostrato di non voler infastidire.

I futuri, magri risultati dell’operazione di maquillage del governo Monti, infatti, stanno tutti nelle norme stesse. Bene il principio: sono esenti solo le attività non commerciali. Come individuarle? C’è un apposito “regolamento” emanato a novembre dal ministero dell’Economia (curiosamente in contrasto con quanto sostenuto dal Consiglio di Stato): sono quelle “svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale”. Bisogna, insomma, essere non profit almeno a metà. Chi stabilisce la media territoriale e come la calcola? Chissà. Alberghi e ostelli, asili e scuole, società sportive e circoli culturali che sarebbe meglio chiamare pub dovranno, per essere Imu-esenti, dimostrare solo che offrono i loro servizi a “metà dei corrispettivi medi” dei loro concorrenti profit. Per gli alberghi è previsto addirittura – qualunque cosa significhi – che possano pagare l’Imu solo per i periodi dell’anno in cui effettivamente svolgono attività commerciale. Per contestare un’eventuale dichiarazione infedele, infine, i comuni hanno cinque anni di tempo. Nota ancora Maurizio Turco: “In Campania ci sono migliaia di case abusive costruite sotto il naso di chi dovrebbe vigilare: come si può immaginare che i Comuni siano in grado di fare controlli su cosa avviene dentro edifici in regola?”.

La verità è che l’oscurità fiscale in cui si trovano gli edifici del non profit – enti ecclesiastici in testa – è contemporaneamente la garanzia e il mezzo con cui si preserva lo status quo. Entro il 4 febbraio chi aveva beneficiato di esenzioni Imu nel 2012 ha dovuto consegnare un modulo in cui dichiarava la sua posizione (o anche una semplice variazione rispetto all’anno prima). In sostanza, una sorta di primo censimento di chi non paga l’imposta sugli immobili, che però non ha per ora riguardato enti senza fini di lucro e ecclesiastici: li ha esentati una circolare del ministero a gennaio. Motivo? Mancava il modulo o, nel loro linguaggio, “la successiva emanazione del decreto di approvazione dell’apposito modello di dichiarazione in cui verrà indicato anche il termine di presentazione della stessa”.

da Il Fatto Quotidiano del 4 giugno 2013

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