Michele Spagnuolo ha 23 anni, studia al Politecnico di Milano. Deve ancora laurearsi, lo farà quest’anno. Non ha esperienza, non ha curriculum, non ha lavorato per nessun gigante dell’IT. Però con i codici di programmazione ci sa fare, ha individuato alcune falle nella sicurezza di Google Mail. Gild, azienda statunitense specializzata nella selezione di informatici sulla rete, lo vuole con sé: ha capito che il ragazzino ha talento analizzando ciò che ha fatto per Big G, ma anche i suoi interventi sui forum specializzati, i post su Facebook, i suoi tweet. Se Michele già intravede un futuro davanti a sé lo deve a Luca Bonmassar, 32 anni, ingegnere informatico nato a Massa Carrara ed emigrato in California, che di Gild è il cofondatore: “Lo abbiamo scelto perché il nostro sistema ha analizzato il materiale che Michele ha seminato su internet. Se ci fossimo dovuti basare su un curriculum tradizionale, non lo avremmo mai preso in considerazione”.

Luca vive a San Francisco. Una volta al mese torna in Europa, tra Stoccolma, dove c’è la sua fidanzata, e Milano, dove Gild ha aperto una sede. E’ all’estero dal 2005: la laurea a Pisa, quindi uno stage a Helsinki e il primo impiego con Nokia: “Piacqui e mi chiesero di restare”. Dopo un anno in Italia, nel 2008 la nuova partenza, destinazione Vodafone: “Mi vollero a Dusseldorf grazie ad alcuni brevetti che avevo sviluppato in Finlandia”. Due anni e 9 mesi come technical manager del progetto Vodafone 360 e poi altri 15 mesi come Lead Software Engineer. Nel 2009 la prima svolta: “Ricevevamo moltissimi curriculum: la maggior parte della gente che li aveva mandati si rivelava non qualificata in sede di colloquio. Scegliere il personale era costoso e lungo. Così ebbi l’idea: serviva un modo per selezionarlo in maniera ingegneristica”. Dopo aver detto addio a Vodafone, con un collega fondò la start up Coderloop: “Fornivamo al candidato dei problemi aperti da risolvere sviluppando un codice informatico: analizzando la sua risposta capivamo se era qualificato o meno. La tecnologia piacque a Gild, che già si occupava della selezione del personale per le grandi aziende, e ci trasferimmo nella Silicon Valley: a inizio 2011 fummo acquisiti definitivamente”. Lì, la seconda svolta: “Dopo 6 mesi ho proposto una serie di cambiamenti. L’idea non era di aspettare che il candidato arrivasse con il curriculum in mano, ma di andare noi a cercare i migliori talenti nel campo dell’IT”.

Gild viene rifondata, si concentra su due mercati, gli Usa e l’Italia. E il board elegge Luca co-founder: “E’ la mentalità americana: hanno creduto nell’idea e mi hanno premiato”. Luca, professionista in fuga dall’Italia, negli Usa seleziona i migliori cervelli informatici per le grandi aziende attraverso l’analisi dei Big Data, giganteschi agglomerati di informazioni sviluppatisi in rete soprattutto con la crescita dei social network. Una nuova frontiera della meritocrazia? “Spesso il merito non è premiato se si cerca solo gente laureata, con un master, che ha lavorato in grandi gruppi. Se oggi Steve Jobs fosse stato uno sconosciuto, probabilmente non sarebbe mai stato assunto solo in base ai criteri tradizionali. E così Mark Zuckerberg“. Si chiama work-force science: “Oggi siamo sempre connessi e seminiamo in rete grandi quantità di informazioni, specie nel settore dell’IT, in cui gli ingegneri rilasciano in open source i codici su cui lavorano”. Gild raccoglie questi dati e li analizza: “Vediamo che un candidato ha sviluppato certe applicazioni, analizziamo i suoi post su Facebook, i suoi tweet, ne capiamo lo stato emotivo e ne misuriamo la capacità di lavorare in un team”. Il tutto viene incrociato con la sua carriera accademica: “In pratica misuriamo non ciò che ha studiato, ma ciò che sa fare”.

In Gild, passata da 10 a 40 dipendenti in 6 mesi, amano definirsi la Google dei talenti. Tra i suoi clienti ci sono società del Fortune 500, giganti come Google e Facebook, ma anche piccole start up, “che non possono permettersi di prendere un raccomandato, ma devono essere sicure di individuare subito il candidato giusto”. Una rivoluzione, a sud delle Alpi: “Con un metodo matematico si può fare meglio ciò che in Italia spesso viene fatto attraverso le conoscenze o, se va bene, tramite il curriculum”. Troppe le differenze con l’estero: “Tornare? No. Fuori, ci sono maggiori opportunità per crescere: appena arrivato, in Vodafone mi chiesero di guidare un gruppo di persone e con una paga quattro volte superiore rispetto a quella italiana. Dopo due anni dirigevo un team di 350 ingegneri, con un budget di vari milioni di euro”. Cosa che ad un giovane italiano non accade mai: “Eppure in Italia c’è gente straordinaria. Andrebbe soltanto scoperta”.

Articolo Precedente

Irlanda, italiani a Dublino. “Ricerca, sviluppo e ‘tax credit’ contro la crisi”

next
Articolo Successivo

Lavoro e qualità di vita, Usa e Australia in testa. Ma l’Oriente avanza

next