L’ultimo saluto alla Rame: pugni chiusi, lacrime, poesia. E quell’urlo di Dario

La grande sciarpa rossa adagiata sulla bara, accanto ai fiori. Rossa come l’abito, o il cappello, o la borsa, o la collana, di molte delle donne venute a salutarla.

La Banda degli Ottoni suona Bella Ciao e altre canzoni di lotta, ma anche Rosamunda e le musiche di Nino Rota. Così, accompagnata da migliaia di persone, Franca Rame ha compiuto il suo ultimo viaggio, ha partecipato al suo ultimo corteo. Poche centinaia di metri, dal Piccolo Teatro di via Rovello al nuovo Teatro Strehler di largo Greppi. Eppure un viaggio lungo e intenso come la sua vita: dal Novecento a oggi. Dalle grandi passioni politiche del Secolo delle ideologie fino alle nuove ribellioni postmoderne.

Prima di partire, Dario Fo ha preso la parola per spiegare perché ha voluto che il saluto dei milanesi, che hanno fatto la coda fino alle 3 di notte, avvenisse proprio al Piccolo Teatro: “Qui iniziammo, Franca e io, sessanta anni fa, con uno spettacolo satirico che si chiamava Il dito nell’occhio e che ebbe un grandissimo successo. Se ne occupò anche la censura. E sapete chi era il politico che lo voleva censurare?”. Qualcuno lancia un nome: “Sì, era Giulio Andreotti!”, conferma Fo.

Poi la Banda degli Ottoni comincia a suonare le sue musiche allegre e tristi, leggere e gravi, e il feretro viene portato fuori a braccia dagli amici (ci sono, tra gli altri, Sergio Cusani, Stefano Benni, Gad Lerner e il figlio Jacopo). In prima fila, il sindaco Giuliano Pisapia con la fascia tricolore, i parenti, gli amici. Ci sono Beppe Grillo, Lella Costa, Gianna Nannini, Claudia Mori, Paolo Rossi, Carlin Petrini, Stefano Boeri, Marco Travaglio e migliaia di milanesi.

Il corteo percorre via Dante, raggiunge piazza Cairoli, svolta in Foro Buonaparte, raggiunge il Teatro Strehler. In corteo, pugni chiusi e fiori rossi, striscioni e slogan ritmati (“Ora e sempre Resistenza”, “Franca è viva e lotta insieme a noi”). La folla che cammina e canta e si commuove è composta da tanti volti che tutti insieme costruiscono, stratificate, le fasi che hanno fatto la storia della città negli ultimi decenni. Ci sono i vecchi che hanno fatto il Sessantotto e animato i movimenti degli anni Settanta, che alla fine la saluteranno con il canto dell’Internazionale. Uno sventola una bandiera rossa con Che Guevara. Sotto la barba, riconosco il volto di un attore che lavorava con Dario Fo e Franca Rame quando, nei primi anni Settanta, trasferirono il loro teatro in un cinema di periferia a Quarto Oggiaro, prima di occupare la Palazzina Liberty (incredibile, ma non hanno mai avuto un loro teatro, a Milano, e hanno dovuto arrivare dalla Svezia a riconoscere il Nobel a Fo, da decenni rappresentato in tutto il mondo).

Tra il Duomo e il Castello, dove sono passati negli anni centinaia di cortei, c’è la Milano intellettuale e borghese, vecchi comunisti commossi, ex operai dell’Alfa Romeo, giovani grillini, ragazze con il Fatto Quotidiano in tasca. Mondi distanti, o almeno diversi, spesso incomunicabili: eppure Franca Rame era comune a tutti. Non si è pentita, non ha mai tradito le idee della sua sinistra, radicale ed estrema, quella di Soccorso rosso. Ma non si è lasciata imprigionare dalle ideologie del Novecento. Ha sciolto la Grande Narrazione del comunismo nelle molteplici narrazioni delle storie che incontrava nella vita e recitava sulla scena.

Mai stata dogmatica come lo erano invece tanti compagni di strada. Appassionata sempre, dogmatica mai. È stata cristiana e comunista, dipietrista e grillina, ma sempre fuori dalle ortodossie, in perenne opposizione, sempre critica e mai accomodante. Il sindaco Pisapia le porge il saluto della città (si è almeno risparmiata il messaggio di una Letizia Moratti). Il figlio Jacopo lancia il suo grido finale, ricordando che cosa gli diceva Franca: “Ricordati: Dio c’è, ed è comunista. Ed è anche donna”. Dunque c’è spazio per la speranza, perché “se si sono estinti i dinosauri, si estingueranno anche questi: persone che non conoscono l’amore e il rispetto per l’umanità”.

Poi prende la parola Dario, che dalla mattina di mercoledì, quando Franca gli è spirata tra le braccia, sembra smarrito. Ma come al solito in scena, di colpo si trasfigura e recita con forza e con tenerezza un racconto scritto da Franca e ispirato a una Genesi apocrifa. “Siamo nel Paradiso terrestre. Dio ha creato alberi, fiumi, foreste, animali e anche l’uomo. O meglio, il primo essere umano a essere forgiato non è Adamo, ma Eva, la femmina!”. Quando finalmente vede Adamo, che la guarda preoccupato e sospettoso, “Eva vuol provocarlo e inizia intorno a lui una strana danza fatta di salti, capriole e grida da selvatica”. E qui Fo si esibisce in urla e versi come solo lui sa fare. Poi Dio, compiaciuto (“Mica male, mi siete riusciti… E dire che non ero neanche in giornata!”), offre loro una scelta senza colpa: nutrirsi dall’albero dei frutti che danno l’immortalità; oppure delle mele che regalano la conoscenza, la sapienza e anche il dubbio, il desiderio e la passione. “Ma attenti, alla fine ognuno di voi morirà e tornerà a essere polvere e fango”. Eva non ha dubbi: “Sceglie la possibilità di scoprire e conoscere e amare. Ben venga anche la morte!”.

Poi, con un “Ciao” lungo e urlato al cielo, Dario saluta la sua Franca, prima che a salutarla siano le donne e gli uomini che affollano la piazza, con un applauso e, di nuovo, con il canto di Bella ciao.

 

il Fatto Quotidiano, 1 giugno 2013

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