La Banca d’Italia non è mai stata così potente e così in difficoltà come in questo momento, alla vigilia delle considerazioni finali che Ignazio Visco leggerà venerdì 31 maggio in via Nazionale, al termine del suo primo anno di mandato pieno (si è insediato il primo novembre 2011, al posto di Mario Draghi). La forza di Bankitalia sta nei nomi: tutta la politica economica è affidata a uomini di via Nazionale. L’ex direttore generale Fabrizio Saccomanni è ministro dell’Economia, il suo successore Salvatore Rossi ha scritto il programma del governo Letta nel comitato dei saggi del Quirinale, la riforma del fisco è stata impostata da Vieri Ceriani, prestato da Bankitalia a Mario Monti come sottosegretario. A vigilare sulla spesa pubblica come Ragioniere generale dello Stato è andato Daniele Franco, già responsabile della ricerca e delle relazioni internazionali della Banca centrale. E, ovviamente, alla Banca centrale europea c’è Draghi, il cui rapporto con Bankitalia non si è mai interrotto. Il ministro Giulio Tremonti, che con Draghi e via Nazionale ha sempre avuto un rapporto quantomeno dialettico, ripete spesso la battuta: “Loro hanno scritto la lettera, ora la devono applicare”, alludendo alla famosa missiva Bankitalia-Bce che nell’estate 2011 fissò il pareggio di bilancio anticipato al 2013 in cambio dell’acquisto di titoli di Stato da parte di Francoforte per far scendere lo spread.

Sempre più sofferenze

Bankitalia è dunque la vera sede del governo, “sono come i militari in tempo di guerra, nella crisi dell’economia passano in prima linea”, riassume il politologo Giampiero Cama. Ma la Banca d’Italia di Visco è anche fragile perché fragile è il settore di cui è autorità di vigilanza. Le banche italiane se la passano male e a farne le spese sono gli italiani. L’Adusbef , l’associazione di consumatori dell’ex senatore Idv Elio Lannutti, ha diffuso dati presi dal Rapporto sulla stabilità finanziaria di Bankitalia in cui si legge che le banche continuano a investire in titoli di Stato (+24,3 per cento a febbraio 2013 sul 2012) invece che prestare a imprese e famiglie. Il credito resta difficilissimo: a febbraio 2013 un mutuo di 100 mila euro a 30 anni in Italia aveva una rata di 516 euro e un tasso del 4,66 per cento, mentre nella zona euro la media era 400 e tasso al 3,35 per cento. Nel complesso, per un prestito a 30 anni un italiano spende ben 27 mila euro in più della media della zona euro. Il credito più costoso rallenta la ripresa, e più soffrono famiglie e imprese, peggiori diventano i bilanci delle banche che li hanno finanziati (sempre meno) in questi anni.

Le sofferenze, cioè i prestiti che difficilmente saranno rimborsati, continuano ad aumentare. Secondo i dati dell’Abi, l’associazione delle banche italiane, hanno raggiunto il 13,7 per cento degli impieghi nel settore delle costruzioni (contro il 6,7 per cento del 2010), l’11,5 nel commercio, l’8,8 nella manifattura, il 9,6 nell’agricoltura. Nel 2012 il totale delle sofferenze bancarie nette, dice sempre l’Abi, è arrivato a 26 miliardi contro i 16,7 del 2011. E le cose peggioreranno ancora, ci vuole tempo perché gli eventuali miglioramenti della congiuntura economica si trasferiscano ai crediti. Visco ha chiesto più volte ai banchieri di fare pulizia, di svalutare i crediti inesigibili e di considerare che certe garanzie – tipo gli immobili – oggi hanno un valore diverso da quello cui sono stati messi a bilancio. Ma le banche non hanno molta voglia di soffrire ancora, anzi sperano in qualche aiuto esterno: per esempio la pubblicizzazione dell’azionariato della Banca d’Italia, di cui oggi sono azioniste. I primi tre soci sono Intesa, Unicredit e le Assicurazioni Generali, seguite da Cassa di Risparmio di Bologna, Inps, Carige e tanti altri. Se il Tesoro fosse pronto, le banche sarebbero ben felici di rompere questo legame tra vigilati azionisti del vigilante. Al giusto prezzo, ovviamente.

Venti miliardi posson bastare

Secondo il prudente calcolo di Antonio Guglielmi di Mediobanca Securities, per fare pulizia nei bilanci delle banche italiane servono 20 miliardi di euro. Tanti, ma non tantissimi, e sarebbe meglio trovarli subito. Perché la quiete sui mercati, che abbassa lo spread facendo rifiatare il ministero del Tesoro e le banche imbottite di titoli di Stato, non durerà per sempre. Forse un anno. Poi le banche dovranno cominciare a rimborsare i prestiti Ltro ottenuti dalla Bce un anno e mezzo fa e l’Italia potrebbe diventare come la Slovenia, con la recessione che innesca una crisi bancaria che a sua volta manda in crisi la finanza pubblica, perché lo Stato senza soldi non può farcela da solo e deve implorare l’intervento della Troika Ue-Bce-Fondo monetario. Visco ne è consapevole e, con Draghi, sta discutendo di come la Bce possa offrire un sostegno alle banche italiane: la Germania per ora si oppone all’ipotesi che Francoforte compri i crediti dubbi delle banche trasformati in derivati Abs, Visco sarebbe invece a favore di un meccanismo più esplicitamente ispirato al piano Tarp con cui l’Amministrazione Bush salvò le banche americane senza rimetterci troppo.

Pensando a Mps

C’è però una grana tutta italiana: il Monte dei Paschi di Siena. Nei mesi dello scandalo, a inizio anno, Visco ha lasciato che fosse Draghi a difendere la banca (il presidente della Bce era tornato, con discrezione, apposta in Italia). E con un discorso a febbraio e una multa agli ex vertici ha liquidato l’argomento, promuovendo nel direttorio il responsabile della vigilanza Luigi Signorini, a certificare che Bankitalia si rimproverava nulla. Tutto a posto? Alessandro Profumo, presidente di Mps, ha lasciato intendere che la nazionalizzazione dell’istituto nel 2014 non è esclusa. Chissà se Visco venerdì affronterà il tema o se, come ha fatto il presidente della Consob Giuseppe Vegas poche settimane fa, preferirà sorvolare. Rimandando il problema al 2014, quando i “Montibond”da 4 miliardi arriveranno a scadenza e bisognerà decidere che fare della banca senese. Nella speranza che nel frattempo arrivi un compratore. Anche straniero. La Banca d’Italia non è più quella dei tempi di Antonio Fazio e la perdita dell’italianità non è più fonte di alcuno scandalo.

dal Fatto Quotidiano del 29 maggio 2013

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