Su Franca Rame verseranno litri e litri di inchiostro. Nessuno però vi racconterà quanto abbia lottato per un mondo migliore. Era il 2007, lei senatrice di maggioranza, scrisse una interrogazione parlamentare ai Ministri della Sanità, dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico. Meglio tre destinatari che uno solo, così da avere più chances di risposta. Denunciò la sindrome del “fumatore incallito” nei bambini di 10 anni residenti nel quartiere Tamburi di Taranto, quello che sorge a ridosso del centro siderurgico Ilva. Citò dati scientifici e si chiese che cosa lo Stato stesse facendo per evitare che la diossina prodotta da quelle fabbriche avvelenasse i cittadini. Dai tre ministri non arrivò mai nessuna risposta.

Il suo sito era diventato l’agorà di battaglie civiche collettive in difesa dell’ambiente, ospitando pareri di esperti come quello della professoressa Antonietta Gatti, dell’università di Modena, che metteva in guardia sulla correlazione fra inquinamento ambientale e ciò che mangiamo. Franca Rame credeva in un mondo semplice e genuino, ‘romantico’ potremmo definirlo (come la sua storia d’amore con Dario Fo). E così non poteva che trovarsi dall’altra parte della barricata rispetto all’uso delle nanotecnologie nel settore alimentare: il cosiddetto nano-food che con nuovi additivi prolunga la vita di alcuni cibi o ne sperimenta nuove varianti di sapore, ma che – secondo alcuni studiosi – sarebbe dietro l’insorgenza di alcuni tumori.

Franca Rame non taceva mai e spesso si metteva contro i potenti; come quando nel 2008 aveva denunciato Enel per non aver bonificato una vasta area sull’isola di Ischia rimasta inquinata dalla fuoriuscita di olio fluido, contenente policlorobifenili (PCB), da uno dei quattro cavi sottomarini ad alta tensione di una vicina centrale. Il PCB è una sostanza tossica tanto quanto la diossina, che può causare danni irreversibili al fegato. I rischi della modernità, qualcuno aveva sussurrato. Ecco, a lei quella modernità faceva schifo.

Ciao Franca, ci mancherai!

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