La legge fondamentale della comunicazione dice che il messaggio deve riflettere il pensiero di chi lo emette in forma tale da essere compreso, e non travisato, da chi lo riceve. Ovvero: non si parla per sé stessi ma per chi ci ascolta. Ovviamente non è facile per chi emette il messaggio mettersi nei panni di chi ascolta; e chi ascolta non da indicazioni su ciò che recepisce o pensa, a meno che non si metta anche lui a comunicare.

Le elezioni amministrative di ieri contengono un messaggio implicito di chi ha votato, sul quale è opportuno riflettere. L’aumento dell’astensionismo è un dato eclatante: indica la delusione di molti elettori. Le elezioni amministrative non riflettono strettamente le politiche e non ne seguono le logiche, ma evidentemente le vicende politiche dei mesi scorsi devono aver deluso molti. Guardando ai voti espressi è andato bene il Pd, con tutte le liste collegate: il minimo che si possa dire è che il Pd ha deluso i suoi elettori meno degli altri partiti. Forse la gente ha apprezzato lo sforzo di Bersani di costruire un governo senza Berlusconi, coinvolgendo M5S; forse anche Letta è piaciuto perché alla fine ha fatto quel governo di cui il paese aveva disperatamente bisogno, seppure a costo di una alleanza che agli elettori del Pd è certamente indigesta. Il Pd è anche un partito non personalistico, che non mette nomi e cognomi sul suo simbolo: gli errori di un leader non necessariamente ricadono sulla considerazione che la gente ha del partito.

E’ andato piuttosto male il Pdl. In Italia molti elettori preferiscono astenersi piuttosto che cambiare voto e l’astensione ha punito questo partito nominalistico, ingabbiato tra la figura di un leader ormai divenuto impresentabile per i troppi processi, e i suoi scialbi possibili successori. Quando il partito ha un nome e un cognome è inevitabile che ne segua le vicende, in questo caso assai squallide. Berlusconi è ancora in grado di reclutare voti quando si candida in prima persona: il suo carisma evidentemente supera i suoi limiti. Ma alle elezioni amministrative non si candida lui e il risultato viene di conseguenza. Più o meno lo stesso deve essere successo alla Lega, dilaniata da una lotta intestina che ne rivela tutta la piccineria.

E’ andata malissimo per il Movimento 5 Stelle, che ha commesso gli errori di comunicazione più grossolani. L’analisi in questo caso è difficile perché non è affatto ovvio né cosa pensa Beppe Grillo né cosa pensano i suoi elettori. La propaganda di M5S è stata costruita all’insegna del “sono tutti ladri”, vecchia lamentela italica che superficialmente è sembrata convincente a molti. Però questi molti, sotto sotto, sanno che non sono tutti ugualmente ladri: anche nel male c’è un peggio e un meglio. Disprezzare l’offerta di Bersani per risuscitare Berlusconi ha deluso molti. I parlamentari di M5S avevano detto a Beppe Grillo, nella famosa scampagnata segretissima all’agriturismo, che per il loro rifiuto temevano di essere visti come responsabili del governo Pd-Pdl; e si erano sentiti rispondere che Pd e Pdl non aspettavano altro che poter fare l’inciucio.

Forse gli elettori M5S non sono stati convinti abbastanza da questa fine analisi politica, e hanno condiviso l’opinione dei parlamentari anziché quella del leader. Un altro problema di comunicazione è stato la sottovalutazione dei problemi reali del paese: e qui c’è l’incognita interpretativa più grande, perché forse né Grillo né i cittadini parlamentari li capiscono realmente. La società moderna ha grandi complessità e gestirla richiede professionalità. Contare gli scontrini sarà pure un segno di buona volontà ma non significa gestire il paese e risolverne i problemi. Non c’è sostanza sotto gli strilli di Beppe Grillo, e non ci sono nel M5S le capacità di gestire bilanci, prendere decisioni politiche, fare scelte: e forse gli elettori se ne sono accorti, per merito soprattutto di Bersani, che a costo della sua carriera politica ha avuto il coraggio di cercare responsabilità politica nel Movimento senza trovarcela.

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