La Regione Lombardia si appresta a iniziare la sua decima legislatura. Tutti presi dalle acrobazie nazionali delle “larghe intese” si continua a trascurare il peso che la decadenza della regione più ricca del Paese impone alla fuoriuscita dalla crisi dell’intero Paese.

Per interpretare correttamente il posizionamento dell’economia lombarda è necessario valutarla rispetto all’area euro, a partire dalla grande crisi (2008-2012). L’esito della comparazione travalica le peggiori “sensazioni”. La crescita del Pil della Lombardia tra il 2008 e il 2012 è stata pari a meno 6,8%, contro un meno 1,0% dell’area euro. In Lombardia la recessione è stata più profonda di quella di altri Paesi europei e di altre regioni italiane. Vengono al pettine i nodi di una politica clientelare e avulsa dall’innovazione e dallo sviluppo industriale operata da Formigoni e purtroppo ancora premiata da un elettorato, che ha fatto sì che il testimone passasse a Maroni, il leghista con il lifting, insolentito genialmente da Crozza.

Cosa cambia in Lombardia e cosa si deve aspettare l’Italia dal governo della sua regione più sviluppata? In fondo, i tre lustri di sovranità anche culturale del formigonismo avevano reso la Lega sostanzialmente succube di un modello che, per patto tacito, lottizzava gli illeciti di cui oggi tutti sono a conoscenza, ma che si fondava su una razionalità organica elaborata in proprio da Comunione e Liberazione, a cui i leghisti fornivano solo la copertura di un’identità locale antistato, corroborata da una solidarietà limitata ai residenti.

Ora la partita è condotta con il ribaltamento delle precedenti gerarchie. Anziché un popolo caritatevole e un po’ affarista anche in nome della sua pratica confessionale, oggi si passa a descrivere la materialità della regione pedemontana, pulsante di fatica e trasudante di timore per una ricchezza a perdere, che si ancora ai “valori” dell’identità, delle tradizioni, dell’ordine, della responsabilità, della famiglia, del federalismo.

Un impianto così provinciale e così fuori dal contesto europeo può sostenere un’effettiva e non solo propagandistica discontinuità con la strategia politica della Giunta precedente? O si continuerà a seguire il modello antecedente della consegna del pubblico al privato, della pratica della sussidiarietà per giustificare la centralità della persona e della società rispetto alle istituzioni, dello sfrangiamento dei diritti a fronte di un capitalismo caritatevole a cui la Compagnia delle Opere fa da complemento?

Senza la CdO il modello Formigoni non avrebbe potuto reggere, perché non avrebbe mantenuto la base sociale, politica ed economica sufficiente per reggere. In effetti, Maroni e Formigoni hanno da sempre condiviso la narrazione che lo stato sociale, con le sue politiche di servizi pubblici, si è reso colpevole di debilitare la solidarietà locale e le reti comunitarie di sostegno ai bisognosi e che allo Stato è bene comunque mantenere e riservare il sistema coercitivo, integrato da ronde, sindaci sceriffi, superprefetti. Per loro non c’è problema di ingiustizia sociale da rimediare: liberismo, comunitarismo e leghismo risultano naturalmente alleati e descrivono compiutamente una società ricca che affronta la globalizzazione difendendo, finché possibile, i suoi privilegi.

Nel cambio di cappello tra i due, Maroni deve mantenere un suo look: riduzione della pressione fiscale al fine di sostenere l’economia e l’occupazione locale; mantenimento del 75% del gettito tributario sul territorio lombardo; creazione di una macroregione del Nord, alla quale corrispondere un’adeguata dotazione finanziaria. Una policy che avvicina sempre di più l’economia lombarda ad alcune economie del sud-est asiatico, invece cha a un’economia europea.

Cosa si può dire ai lavoratori e agli imprenditori, quando in Lombardia non si genera un valore aggiunto adeguato o sufficiente per far crescere il reddito da lavoro dipendente e impedire il fallimento di negozianti, artigiani, piccole imprese? Come reagire se nei provvedimenti energetici del programma della nuova Giunta si cita ancora lo stoccaggio di gas nel sottosuolo, mentre la questione delle emissioni di CO2 e della loro riduzione è annunciata ritualmente senza la minima scomposizione per i settori della mobilità, dell’edilizia, dei trasporti, del settore termoelettrico?

Uno sguardo verso il passato sembra permeare la missione di una regione un tempo all’avanguardia: la famiglia diventa il centro del welfare e la cultura riscopre le origini millenarie delle terre insubri… Direbbero i veri lombardi: “robb de matt!”.

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