Vincenzo Nibali trionfa al Giro d’Italia, lo stesso merito gli va riconosciuto quando dieci giorni fa si è recato al cimitero delle vittime del Vajont per ricordare quella tragedia che mai potrà essere dimenticata.

A distanza di cinquant’anni, sindaci e associazioni dei superstiti ora vogliono che siano rimosse le targhe e cancellate le intitolazioni di chi si rese responsabile di quel dramma costato 1917 vittime. La lunga carovana del Giro d’Italia ha colorato giorni fa di rosa le strade della catastrofe nel Bellunese, per poi andare in delegazione al cimitero monumentale di Fortogna, un tempo campo di granoturco, risparmiato dal fango e trasformato poi in una grande fossa. All’ingresso un monito per il futuro: “Prima il fragore dell’onda, poi il silenzio della morte, mai l’oblio della memoria”,

Erano le 22.39 del 9 ottobre 1963 quando una enorme frana di 270 milioni di metri cubi di roccia si staccò dal pendio del monte Toc e precipitò sul bacino artificiale della diga del Vajont. Una massa d’acqua si sollevò, superò lo sbarramento della diga e cadde sulle sottostanti case di quattro comuni: Longarone, Castellavazzo, Vajont, mentre, sull’altro versante, l’acqua di portò via pezzi dell’abitato del comune Erto e Casso. Il giorno dopo la valle era diventata una desolata spianata trasformata in un’enorme tomba coperta di fango. “Un sasso è caduto nel bicchiere e l’acqua è andata sulla tovaglia. Ma sulla tovaglia c’erano migliaia di uomini”, diceva lo scrittore Dino Buzzati.

“Si sbagliava. Perché quel sasso non è caduto, ce l’hanno buttato”, corregge lo scrittore Mauro Corona, che vive a Erto. Solo 700 vittime furono riconosciute, la maggioranza rimane, a distanza di 50 anni, senza un nome. Ed è proprio dall’oblio sindaci e superstiti vogliono salvaguardare la memoria collettiva.

Renato Migotti è il presidente dell’Associazione vittime del Vajont: “Le intitolazioni di edifici pubblici a persone legate al Vajont che hanno avuto la responsabilità di costruire una diga, dove non si doveva costruire per motivi idrogeologici, debbono essere rimosse”. C’è il liceo scientifico di Feltre dedicato a Giorgio Dal Piaz, il geologo del Vajont. “E’ lui che firmò la relazione per innalzare la diga da 200 metri a 260, triplicando la portata dell’invaso”, spiega Migotti, e quella fu una delle maggiori cause della sciagura. “Dal Piaz e Carlo Semenza, progettista della diga, andarono in sopralluogo alla diga e decisero di alzare lo sbarramento. In una lettera Dal Piaz scrisse a Semenza che ha provato a redigere la relazione, senza riuscirvi. E Semenza si offrì di scriverla e Dal Piaz di firmarla. Non è giusto ricordare queste persone”, denuncia Migotti. A Carlo Semenza è intitolato un rifugio in Alpago, un altro a Giorgio Dal Piaz sulle Vette Feltrine, inaugurato pochi giorni prima del disastro del ’63.

Sono i sindaci dei paesi colpiti dalla tragedia a volere la rimozione di ogni intitolazione ai nomi coinvolti nel disastro. Il sindaco di Sopramonte: Dal Piaz “ha avuto una sua particolare responsabilità nel disastro”, mentre il sindaco di Longarone, chiede di “sostituire l’intitolazione del liceo. Mi sembra un giusto riconoscimento alle vittime del Vajont”. Si dichiara d’accordo il sindaco di Feltre: “Credo ci siano gli estremi per poter cambiare il nome della scuola”. Pure una strada a Padova porta il nome di Dal Piaz. Respingono la proposta di rimozione delle intitolazioni il Cai: “Dal Piaz merita di essere ricordato per i suoi studi sulle Dolomiti”. Di tenore più acceso il nipote del geologo: “Sostenere che Giorgio Dal Piaz sia responsabile del disastro del Vajont è solo diffamazione”.

Ma fu lo stesso Carlo Semenza a confessare le sue paure per quel mostro sopra i paesi del Bellunese. “Dopo tanti lavori fortunati e tante costruzioni, anche imponenti, mi trovo veramente di fronte ad una cosa che per le sue dimensioni mi sembra sfuggire dalle nostre mani”. E fu disastro!

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